Un famoso proverbio insegna che l’apparenza inganna e che non si giudica un libro dalla sua copertina. Nel nostro caso potremmo dire che definire la forza di una Nazione solo sulla base della sua estensione territoriale è proprio da ingenui.
Stiamo parlando del Lussemburgo, il piccolo Stato europeo stretto tra Belgio, Germania e Francia, cuore pulsante della finanza europea.
Il Granducato del Lussemburgo – l’unico rimasto al mondo – ha una superficie di appena 2.586 km², ma enorme è la sua influenza sulle politiche dell’Unione Europea. La sua capitale, l’omonima Lussemburgo, è una delle tre sedi ufficiali delle istituzioni dell’UE: ospita, infatti, il Segretariato generale del Parlamento europeo, la Banca europea degli investimenti, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la Corte dei Conti dell’UE, l’Ufficio statistico Eurostat e il Meccanismo di stabilità dell’eurozona.
Dal punto di vista politico, il Granducato di Lussemburgo è una monarchia costituzionale parlamentare con un Capo di governo e un Capo di Stato, il Granduca, il quale ha ormai solo diritti formali. Ogni cinque anni i cittadini vengono chiamati alle urne per eleggere i sessanta deputati che andranno a formare l’organo legislativo unicamerale, la Camera dei deputati.
Oggi, il Paese è guidato dal democratico Xavier Bettel, primo Presidente del Consiglio di un paese europeo ad essersi unito civilmente a una persona dello stesso sesso nel 2015, in virtù di una legge approvata nel Paese proprio l’anno prima.
Una storia europea
Europeismo ed apertura internazionale sono oggi i due capisaldi di questo Stato.
Per capire come mai bisogna però riavvolgere il nastro e tornare indietro di un secolo.
Per la sua posizione geografica, il Lussemburgo rappresenta una terra di mezzo schiacciata dalle due grandi potenze: la Germania e la Francia in guerra fra loro. Nel 1948 il Paese decide di cessare la sua annosa neutralità entrando a far parte del Benelux, l’unione economica formata da Belgio e Paesi Bassi, e diventando l’anno seguente uno dei membri fondatori della NATO e del Consiglio d’Europa.
Da questo momento in poi, la storia del Lussemburgo verrà legata a doppio filo al processo d’integrazione europea, cui il Paese darà un grosso contributo ricevendo tanto a sua volta.
Il progetto di una gestione comune delle produzioni di carbone e acciaio, necessaria per scongiurare futuri conflitti, viene infatti partorito dalla mente di un cittadino lussemburghese, il ministro degli Esteri francese Robert Schuman.
Il 18 aprile 1951 la dichiarazione Schuman si concretizza nella firma, da parte del Lussemburgo insieme ad altri cinque Paesi, del trattato che istituiva la CECA, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Il Lussemburgo diventava così sede dell’Alta Autorità sovranazionale indipendente, l’organismo incaricato di vigilare sul rispetto delle regole comuni.
Andiamo avanti di qualche anno. Siamo a Roma, è il 25 Marzo 1957 e c’è ancora il Lussemburgo a firmare – insieme a Francia, Italia, Germania occidentale, Belgio e Paesi Bassi – i Trattati istitutivi della Comunità economica europea (Cee) e della Comunità europea dell’energia atomica (Euratom).
Un altro anno cruciale è il 1985. Nella città lussemburghese di Schengen i capi di governo del Benelux, insieme a quelli di Francia e Germania occidentale, concludono un accordo col quale si impegnano a eliminare progressivamente i controlli alle frontiere fino a creare una zona di libera circolazione per i cittadini dei Paesi aderenti, quell’area oggi nota come spazio Schengen è uno dei maggiori successi dell’integrazione europea.
E c’è ancora il Lussemburgo dietro a un’altra figura di spicco dell’UE: Pierre Werner, il padre dell’euro, il quale nel 1970 ha presentato la proposta di creazione della moneta unica proprio mentre ricopriva la carica di premier e ministro delle finanze del Granducato.
Questo breve excursus basta da sé a comprendere come l’odierno europeismo del Lussemburgo sia una diretta conseguenza della sua storia. In Lussemburgo vivono 600 mila persone di 140 nazionalità diverse e buona parte di loro è costituita da funzionari delle istituzioni europee.
Trovare un euroscettico tra i cittadini lussemburghesi è difficile perché lì Unione europea fa rima con pace, stabilità e soprattutto con prosperità economica. Ad oggi, infatti, il Granducato detiene il record di Paese europeo con il livello di Pil pro capite più alto, che nel 2019 si attestava intorno ai 90 mila euro.
Questa stima non tiene però conto del numero esorbitante di pendolari che contribuiscono alla ricchezza della nazione, ma che di fatto risiedono in altri Stati.
Il “Lux” tra economia, natura e tradizioni
Quella lussemburghese, infatti, è un’economia ad alto tasso di esportazione e di importazione di nuova manodopera dall’estero e si basa principalmente sui settori bancario, assicurativo e della produzione di acciaio. In Lussemburgo si guadagna bene quindi, ma si spende anche molto.
Il costo della vita è molto alto e gli affitti sono proibitivi, a causa dell’altissimo numero di lavoratori in rapporto alla disponibilità di alloggi. Questo spiega perché molti, provenienti dalle nazioni confinanti, scelgono di vivere da pendolari e si ritrovano a dover superare la frontiera due volte al giorno per andare a lavorare in “Lux”.
Nonostante il caos delle ore di punta, il Lussemburgo è una meta perfetta per un weekend all’insegna di cultura e natura. La sua capitale fonde insieme tradizione e modernità in un’atmosfera cosmopolita unica in Europa.
Non solo uffici e banche quindi, ma anche numerosi teatri, musei, piazze e soprattutto un centro storico iscritto nella lista dei beni Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco dal 1994, con i suoi 23 km di gallerie sotterranee a testimonianza delle antiche fortificazioni, le celebri Casematte scavate nella roccia del Bock.
Il periodo più magico per una fuga in Lussemburgo è senza dubbio quello natalizio, che ha inizio il 6 dicembre con l’arrivo dalla Spagna di San Nicolas, conosciuto come Kleeschen.
Un’ottima occasione per gustare i dolci tipici della festa, tra cui il Boxemännercher, una brioche a forma di omino stilizzato, e per respirare la magia del Natale perdendosi nel centro della capitale, che durante il Festival Winterlights si trasforma in un enorme villaggio natalizio con centinaia di luci e mercatini che diffondono l’odore di vin brulé e pain d’épices.
Come si fa a non ritornare bambini?
Serena Tummino