Boyhood è uscito nel 2014, dopo dodici anni di riprese. Il regista di questo straordinario progetto cinematografico è Richard Linklater e il cast è composto da Ellar Coltrane – che interpreta il protagonista Mason – Ethan Hawke – il padre – e Patricia Arquette – la madre; la figlia del regista Linklater è la sorella di Mason.
Questa pellicola indipendente ha ottenuto molti premi: al Festival di Berlino del 2014 si è aggiudicata l’Orso d’argento per il miglior regista, ai Golden Globes 2015 ha vinto nelle categorie miglior film drammatico, miglior regista e miglior attrice non protagonista per Patricia Arquette, che ha ricevuto anche l’Oscar.
Boyhood, nelle sue (quasi) tre ore di durata, risulta semplice e vero, senza stancare. Fin dai primi minuti di visione traspare la grandezza dell’esperimento di Linklater, che è riuscito a realizzare uno dei migliori film degli ultimi dieci anni.
Se pensate che i dodici anni di riprese siano dovuti a interruzioni, problemi o cambi di attori, vi sbagliate: Linklater ha volutamente compiuto questa impresa per raccontare la vita di Mason nel modo più realistico possibile. Ma Boyhood non è un documentario, e non è nemmeno un film biografico. Cos’è, allora? Ve lo spieghiamo noi.
Boyhood: formazione e sperimentazione
La prima definizione che si potrebbe dare di Boyhood è film di formazione. La trama, infatti, è incentrata sulla vita di Mason, sulla sua crescita e sulle vicende familiari che lo rendono, infine, uomo. Lo vediamo a sei anni con la madre, che cerca di rifarsi una vita dopo il primo divorzio, e la sorella che lo tormenta continuamente. Lo seguiamo mentre la madre decide di risposarsi e di creare una nuova famiglia con un uomo burbero e violento. Affrontiamo insieme a lui le difficoltà adolescenziali, i frequenti traslochi e le discussioni con gli amici. Il padre, la cui presenza è altalenante, è in realtà un punto fermo nella vita di Mason ed è anche la persona con cui può confidarsi liberamente.
Sicuramente non è da ricercare nella trama il motivo per cui vale la pena guardare Boyhood, ma per il modo in cui il regista ha deciso di narrare questi fatti: semplicemente seguendo il ritmo naturale della vita dei protagonisti. E, a questo punto, ci troviamo di fronte a un film sperimentale. Dodici anni di riprese, che mostrano dodici anni di vita. Da questa perfetta corrispondenza nasce la meraviglia della pellicola. I cambiamenti fisici degli attori sono reali. Il timido bambino di sei anni che chiede al padre se gli elfi esistono si trasforma pian piano nell’uomo che sorride alla madre con affetto, prima di partire per l’università. Il ritmo è tranquillo.
Il regista riesce a scandire il tempo della narrazione con una colonna sonora piacevole, che riprende i successi pop dal 2002 al 2014, insieme a riferimenti storici e culturali. Dalla guerra in Iraq ai libri di Harry Potter. Non ci sono stacchi di montaggio improvvisi, ed è difficile a volte capire quanti anni abbia Mason, anche se si può intuire dal suo taglio di capelli aggiornato oppure dalla sua camminata più spedita e sicura. Ciascuna scena si lega a quella successiva in modo fluido e impercettibile e le inquadrature sono spesso primi piani, carrellate o panoramiche. Ogni tanto, qualche tremolio o imperfezione, un angolo non ben illuminato, che regalano ulteriore autenticità alla pellicola.
Vita vera ed emozioni profonde
“Quindi qual è il punto di tutto?” chiede Mason al padre, dopo avergli raccontato che la sua fidanzata l’ha tradito con un ragazzo del college. “Non lo sa nessuno, andiamo tutti a naso, ma la buona notizia è che provi qualcosa.” Boyhood ci regala proprio questo: emozioni vere e profonde. Nessun regista ha mai raccontato la vita come Linklater, con verità e con pazienza. In dodici anni di riprese, qualche imprevisto avrebbe potuto far saltare l’intero progetto. Uno screzio c’è stato: la figlia del regista, per esempio, che interpreta la sorella di Mason, a un certo punto si è stancata e non voleva più prendere parte al film. Gli attori e il regista stesso hanno portato avanti parallelamente le riprese di altre pellicole, e si dedicavano a Boyhood quando riuscivano.
Nonostante le difficoltà l’esperimento di Linklater è riuscito, e oggi Boyhood rappresenta un caso unico nella storia del cinema. Racconta la vita attraverso dialoghi sinceri e realistici. Nessuna pomposità, nessuna frase ci ricordano che stiamo guardando un film. Mason e la sorella che distribuiscono cartelli per la campagna di Obama, Mason che prova a sparare col fucile per il suo sedicesimo compleanno, la furia con cui la madre porta via i figli dal compagno violento, e le canzoni strimpellate sotto il portico, la sera, insieme alla famiglia del padre: sono emozioni reali. Sono la vita vista dagli occhi di Mason. E dopo quasi tre ore di film, vorremmo solo guardarlo di nuovo.
Silvia Taracchini