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CineWriters – Credo che…Radiofreccia sia un bellissimo film per chi ama la radio

Il racconto delle radio libere, degli anni Settanta e della vita di paese entra per la prima volta nei cinema italiani grazie ad un cantante. Luciano Ligabue, al suo esordio come regista, realizza il film Radiofreccia, uscito nel 1998 e prodotto da Domenico Procacci. Essendo alla sua prima esperienza cinematografica, il noto cantante ha preferito lavorare con attori professionisti, dando però anche spazio ad artisti meno conosciuti. Vediamo, quindi, nel cast Stefano Accorsi, Luciano Federico, Enrico Salimbeni, Roberto Zibetti e Alessio Modica, i giovani protagonisti del film, al fianco dei quali recita anche Francesco Guccini, nei panni di un barista sui generis.

La scelta stilistica di Ligabue si rivela un successo e Radiofreccia ottiene, quell’anno, ben tre David di Donatello (miglior regista esordiente, miglior attore protagonista a Stefano Accorsi e miglior sonoro in presa diretta), due Nastri d’argento e quattro Ciak d’oro. All’inizio del 2006 il film viene anche proiettato al Museo d’arte moderna di New York.

“Ciao a tutti, Bruno Iori al microfono, sono le 22 di questo 20 giugno 1993. Due ore, ci restano due ore, dopodiché il segnale di Radiofreccia verrà spento per sempre.” È questo l’inizio della storia: Bruno si trova nella stanza dove, per quasi 18 anni, è stata mandata in onda Radiofreccia, prima Radio Raptus, e dove si sono succedute numerose voci. Bruno decide di rievocare con un lungo flashback la storia dei suoi amici e, allo stesso tempo, anche quella della radio. Veniamo quindi riportati nel 1975, anno in cui Bruno, aiutato da Iena, Tito, Boris e Freccia, decide di fondare una radio libera in un piccolo paese del reggiano. La storia alterna le vicende degli amici protagonisti, ognuno dei quali intraprenderà la propria strada, e i momenti di riflessione davanti ai microfoni di Radiofreccia, contornata dal variegato mondo di personaggi che popolano il paesino, tra cui anche Bonanza, il matto che, poi, tanto matto non è.

“Credo che c’ho un buco grosso dentro, ma anche che il rock n’ roll, qualche amichetta, il calcio, qualche soddisfazione sul lavoro, le stronzate con gli amici, ogni tanto questo buco me lo riempiono. Credo che la voglia di scappare da un paese con ventimila abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso, e credo che da te non ci scappi neanche se sei Eddy Merckx.”

Tutti i personaggi avvertono le difficoltà e i dubbi della loro età, sempre più vicina ai doveri della vita adulta. Avvertono anche i cambiamenti sociali che si stanno compiendo in Italia ma ne sembrano solo vagamente toccati, alternando le loro giornate tra il bar del paese, la radio, il lavoro da operai e qualche sabato sera in discoteca. Ivan, detto Freccia (Stefano Accorsi), personaggio principale sul quale si focalizza la storia e a cui verrà in seguito dedicato il nome della radio, avverte questo vuoto esistenziale, e ne parla nel celebre discorso sopracitato; nel corso della storia, a causa dell’innamoramento per una ragazza tossicodipendente, entrerà nel tunnel della droga. I dialoghi semplici e spontanei, quasi non provenissero da un copione, si sviluppano tra la disillusione di Freccia – una disillusione che caratterizza la sua intera generazione – l’ottimismo e la saggezza di Bruno (Luciano Federico), la timidezza di Iena (Alessio Modica) e la “malignità” di Boris (Roberto Zibetti), cinico ed egoista. Tito (Enrico Salimbeni), merita una riflessione a parte: è uno dei personaggi più tormentati, dovendo fare i conti con una difficile storia familiare.

Gli attori, attraverso la loro interpretazione – tra cui spicca quella del giovane Accorsi, intenso come non mai – riescono a comunicare il peso dell’esistenza dei personaggi, a cui nemmeno la musica sembra porre rimedio.

La musica ha un ruolo fondamentale nella pellicola, presentando le vicende della radio e quelle del gruppo di amici. La colonna sonora, come ha dichiarato lo stesso Ligabue, contiene sia pezzi inediti del cantante come “Ho perso le parole”, sia le canzoni più famose degli anni Sessanta e Settanta: “Rebel Rebel” di David Bowie, “The Passenger” di Iggy Pop, “Vicious” di Lou Reed, e altri brani di Creedence Clearwater Revival e Earth, Wind and Fire, fino alla canzone “Incontro” di Francesco Guccini. La musica si amalgama quindi perfettamente alla storia del film, come in una puntata radiofonica, con tempi precisi e scanditi per ogni canzone e per ogni momento di silenzio, rotto solamente dai monologhi di Freccia, che utilizza la radio per raccontare la propria vita e le proprie riflessioni.

Questa prima grande esperienza da regista per Ligabue è dunque assolutamente ben riuscita. Il cantante è stato però affiancato da un abile Antonello Grimaldi, che lo ha assistito durante le riprese del film. Radiofreccia è pulito, semplice, non presenta stravaganze narrative e risulta interessante in alcune scelte, come, per esempio,  la suddivisione in capitoli del film.

Peccato non poter esternare lo stesso entusiasmo per il secondo film del cantante, Da zero a dieci, che riprende in parte la storia del primo lavoro (il protagonista in questo caso è il fratello di Freccia) ma non ne coglie la stessa freschezza e originalità.

Ligabue, attraverso Radiofreccia, riesce dunque a raccontare con una solida sceneggiatura (scritta e modificata per il film dallo stesso regista, ripresa dai suoi racconti di “Fuori e dentro il borgo”) la nascita delle radio libere nei paesini emiliani degli anni Settanta. Tra le vicende di Freccia e dei suoi amici, un’ottima colonna sonora e una profonda riflessione sul mondo della droga (ancora agli albori all’epoca), il film risulta fresco e senza fronzoli. Radiofreccia riesce a parlare ai giovani, in modo schietto, e, grazie alle ottime recensioni della critica e al successo ricevuto dal pubblico, è diventato un cult nel giro di poco tempo. Una delle tematiche che senza dubbio merita una considerazione più approfondita è quella che riguarda la vita di paese. Pochi film italiani sono riusciti a farne un ritratto altrettanto genuino e sincero. Il borgo di Ligabue è una realtà che lui stesso ha vissuto e si capisce dal modo onesto e affettuoso in cui lo propone: il bar ne è un chiaro esempio. Gli amici si ritrovano quotidianamente al “Bar Laika”, che è come una seconda casa; parlano tra loro e si scambiano battute con il barista Adolfo (Francesco Guccini), che non è mai in vena di scherzare. Chi ancora vive in paesi come questo non può non avvertire un sapore nostrano vedendo il film e non può negare che anche le vicende di Freccia e dei suoi amici potrebbero essere realmente accadute.  Tutto è estremamente verosimile; ed è così che nella pellicola si ritrovano l’amicizia, la droga, la disperazione e l’amore, così come si potrebbero ritrovare nella nostra vita perché, come direbbe Bonanza, il matto del paese, “La vita non è perfetta, le vite nei film sono perfette, belle o brutte, ma perfette, nei film non ci sono tempi morti, la vita è piena di tempi morti, nei film sai sempre come va a finire, nella vita non lo sai mai!”.

Silvia Taracchini