Grand Budapest Hotel è un film del 2014, diretto e co-prodotto da Wes Anderson.
Il regista texano ha dichiarato di essersi (liberamente) ispirato alle opere di Stefan Zweig, scrittore austriaco tra i più noti degli anni Venti, e in modo particolare alla sua autobiografia “Il mondo di ieri”. Il film ha ottenuto nove candidature agli Oscar e ha portato a casa ben quattro statuette (per migliori costumi, migliore scenografia, miglior trucco e migliore colonna sonora).
Sospesa a metà tra fiaba e commedia, Grand Budapest Hotel è un’opera leggera e bizzarra. Anderson si diverte a giocare con una narrazione-matrioska: come per una scatola cinese, il racconto è nel racconto.
Ai piedi di un monumento dedicato ad un autore di cui non si conosce il nome, una giovane donna stringe fra le mani un romanzo. Le pagine di quel libro ci guidano fin nello studio del suo anziano scrittore. L’uomo rievoca ricordi lontani e le sue parole ci fanno strada fra le montagne innevate dell’immaginaria Repubblica di Zubrowka, lì dove sorge l’affascinate vecchia rovina del Grand Budapest Hotel. Anni prima, infatti, il nostro scrittore era stato ospite della struttura e aveva fatto la conoscenza del proprietario Zero Moustafa. Ma il vorticoso viaggio indietro nel tempo non si arresta, e stavolta il racconto è affidato proprio a Zero, che si rivela cantastorie nostalgico di rocambolesche avventure.
La narrazione a scatola cinese finisce così per concentrarsi sulle vicende che coinvolgono l’eccentrico e raffinato concierge Monsieur Gustave H. e il suo valletto e amico, il garzoncello Zero.
Il regista de I Tenenbaum e Moonrise Kingdom si riconferma ancora una volta grande maestro di stile. La cura per l’estetica è come sempre meticolosa, l’uso del colore strabiliante: un bianco splendente per gli esterni innevati, mentre per gli interni colori caldi e sgargianti. La macchina da presa, seguendo abile e veloce i numerosi uomini che popolano il racconto, disegna geometrie e simmetrie perfette. E la splendida colonna sonora firmata da Alexandre Desplat guida lo spettatore in questa meravigliosa fiaba.
Per i mille personaggi che affollano l’Hotel e il film stesso altrettanti volti noti. Infatti questo è un racconto corale in cui grandi interpreti vestono i panni di bizzarri personaggi anche solo per qualche battuta o un cameo. Accanto alla coppia di protagonisti interpretati da Ralph Fiennes e dal giovane Tony Revolori, per citarne alcuni, attori del calibro di F. Murray Abraham, Jude Law, Tilda Swinton, Adrien Brody, William Dafoe ed Edward Norton.
Ma Grand Budapest Hotel non è certo un semplice (e finissimo) esercizio di stile. Dietro espedienti narrativi, teatrini corali, celebrazioni cromatiche, omicidi, fughe e rapine, si cela una storia di amicizia, solidarietà e di buoni sentimenti che riescono a farsi spazio persino in un tempo in cui la violenza impera.“Hai visto? Resta ancora qualche tenue barlume di civiltà in questo barbaro mattatoio un tempo noto come umanità.” Sono le parole che il nostro concierge rivolge al suo fido compagno e a noi che ammiriamo con stupore Grand Budapest Hotel.
Cristina Scotto D’Abusco