“Un tempo la gente era convinta che quando qualcuno moriva, un corvo portava la sua anima nella terra dei morti; a volte però, accadevano cose talmente orribili, tristi e dolorose che l’anima non poteva riposare. Così a volte, ma solo a volte, il corvo riportava indietro l’anima perché rimettesse le cose a posto.”
Con queste parole una voce fuori campo ci accompagna fra i palazzi di una tetra città in cui impera il crimine. È la notte di Halloween, meglio conosciuta come “la notte del diavolo”, e i fidati scagnozzi dello spietato Top Dollar mettono in ginocchio l’uggiosa Detroit, riducendola in cenere, schegge e frantumi. E quella stessa notte viene tolta la vita a due giovani innamorati, Eric e Shelly, brutalmente assassinati. Un anno dopo il corvo – traghettatore di anime – riporta in vita Eric, che ora è dotato di poteri sovrumani e si lascia quindi guidare da una folle sete di vendetta.
Il Corvo è un film del 1994 diretto dall’allora giovane Alex Proyas. E prima ancora è un fumetto underground di James O’Barr.
La trama è semplice e si dipana lineare, se non fosse per i pochi flashback che raccontano la vita felice, seppur breve, della coppia.
Il ragazzo dal volto dipinto di bianco, che nel fumetto è conosciuto col solo nome, qui è Eric Draven, che per assonanza ricorda “The Raven”, nota poesia di Edgar Allan Poe. Non a caso nel racconto ci sono riferimenti, (di O’Barr prima, di Proyas poi) alla letteratura gotica e all’universo musicale rock degli Anni Ottanta.
The Cure, Stone Temple Pilots, Helmet, The Jesus and Mary Chain sono solo alcuni degli artisti che firmano la strepitosa colonna sonora. Questi, insieme ad una fotografia livida e ad una scenografia quasi spettrale, danno voce e corpo a passione e vendetta.
Nelle vesti del protagonista, l’attore Brandon Lee, figlio della leggenda delle arti marziali Bruce Lee, dà prova di grandi doti drammatiche per una performance di notevole intensità.
Proprio durante le riprese de Il Corvo, Brandon Lee perse la vita per un colpo di pistola che doveva essere invece caricata a salve. Il misterioso incidente ha creato molto scompiglio all’epoca, senza che si riuscisse a venirne a capo. Proyas per completare il film fece ricorso a controfigure e tecniche di computer grafica.
La pellicola riprende i topoi della vendetta e dell’amore capace di trascendere la morte, incappando talvolta in qualche ingenuità di scrittura dovuta al perseguire gli stereotipi dei due macrotemi; nel complesso la sceneggiatura appare fluida e ben strutturata.
Dopo qualche anno si è cercato un nuovo successo attraverso gli stessi elementi, ma il tentativo di rimaneggiare la trama è stato fallimentare: Diversi sequel, una serie tv, reboot e remake non potevano ricreare l’ipnotica magia del primo film.
Così, certamente complice la tragica morte dell’attore che contribuisce ad accentuare l’aura maledetta della pellicola, il Corvo risulta un colossal successo destinato a lasciare un’orma indelebile per generazioni. Basti pensare alla maschera di Eric, al brano Burn dei Cure, all’indimenticabile battuta“Non può piovere per sempre”, ancora oggi elementi riecheggianti e presenti nel contesto culturale cinematografico (e non) che hanno fatto de Il Corvo un mito consacrato all’immortalità.
Cristina Scotto d’Abusco