La testa incassata nelle spalle larghe, le orecchie grandi e il volto imperturbabile. È la maschera di Giulio Andreotti che Toni Servillo indossa con grande maestria e il giusto trucco ne Il divo – La spettacolare vita di Giulio Andreotti, film scritto e diretto da Paolo Sorrentino e presentato in concorso al Festival di Cannes nel 2008.
Il regista napoletano si serve della consulenza giornalistica di Giuseppe D’Avanzo, nonché di fatti storici e ipotetici, per raccontare le vicende private e politiche del senatore Giulio Andreotti, concentrandosi sul periodo che va dalla fine del suo ultimo governo nel 1992 al processo di mafia del 1996.
Tormentato da lancinanti emicranie, trascorre le notti insonni, il divo. Bicchieri d’acqua abbondanti abbinati a compresse effervescenti non alleviano mai i suoi mal di testa. Gira per casa come un’anima in pena e all’alba passeggia per le strade deserte di Roma, sempre seguito dalla scorta, per raggiungere la chiesa di don Mario e ricevere l’assoluzione. Ma giunge presto il giorno di festa, quello in cui nasce il settimo governo Andreotti. E la corrente andreottiana della D.C. si riunisce; fra questi Paolo Cirino Pomicino (Carlo Buccirosso), Salvo Lima (Giorgio Colangeli) e Vittorio “Lo Squalo” Sbardella (Massimo Popolizio). Da sempre sotto i riflettori (“Guerre puniche a parte, mi hanno accusato di tutto quello che è successo in Italia.”), il divo Giulio finisce sotto i flash dei giornalisti e sul banco degli imputati quando viene chiamato a rispondere delle accuse di associazione mafiosa. Ne esce assolto.
Col suo quarto lungometraggio Sorrentino va a consolidare il sodalizio artistico con Servillo nato con L’uomo in più (2001), passando per Le conseguenze dell’amore (2004) e trovando pieno compimento ne La grande bellezza (2013) e Loro (2018). Il Divo si aggiudica il Premio Speciale della giuria a Cannes, 4 Nastri d’Argento e 7 David di Donatello, ottenendo un buon successo a livello internazionale.
Un’interpretazione grottesca e impressionante – quella di Servillo – che non trascura le complesse sfumature del personaggio. Alcune devastanti consapevolezze vengono raccontate dallo stesso protagonista, come nel monologo in cui Andreotti si confessa alla moglie Livia: “Non hanno idea delle malefatte che il potere deve commettere per assicurare il benessere e lo sviluppo del Paese. Per troppi anni il potere sono stato io. La mostruosa, inconfessabile contraddizione: perpetuare il male per garantire il bene. La contraddizione mostruosa che fa di me un uomo cinico e indecifrabile anche per te, gli occhi tuoi pieni e puliti e incantati non sanno la responsabilità. […]”
La scrittura pungente e i rapidi movimenti di macchina conferiscono alla pellicola il ritmo incalzante del thriller perfetto. Dal caso Moro a Tangentopoli, il film è la fotografia nitida di anni di lunghe ed inquietanti ombre.
E come in ogni film di Sorrentino, si sa, nulla è rimesso al caso. Grande attenzione è riservata all’eclettica colonna sonora: dal pop alla musica classica, passando per l’elettronica e lasciando firmare le musiche in gran parte da Teho Teardo.
Lo stesso Andreotti ha reagito alla visione del film definendo la pellicola “una mascalzonata”, per poi ritrattare quando nuovamente interpellato. Interessante è il commento del regista a tali dichiarazioni: “Andreotti ha reagito in modo stizzito e questo è un buon risultato perché di solito lui è impassibile di fronte a ogni avvenimento. La reazione mi conforta e mi conferma la forza del cinema rispetto ad altri strumenti critici della realtà.”
Cristina Scotto D’Abusco