CineWriters – Il Primo Re

– Senza termine di paragone –

Matteo Rovere dopo l’impresa di Veloce come il Vento che tutti ricordiamo con gioia, sceglie la materia storica per la sua seconda pellicola, producendo un film senza termini di paragone.
A metà strada tra un peplum anni ‘50 e un film di Mel Gibson, Il Primo Re vive per due concetti: immersività e realismo.
Purtroppo il film manca dell’una e dell’altra.

Non starò qui a montare un seppur necessario trattato estetico sul senso della parola realismo nel film storico, dacché basterebbe una conoscenza basilare della materia per sapere il paradosso al quale si va’ incontro ponendosi un simile obiettivo.
Il passato è materia ignota e scura; modo unico per rendergli onore è accettare questo dogma e non c’è cervo rumeno, maschera di ferro, o pseudo-proto-latino che possa cambiare questa cosa.
Problema è dunque non il poco realismo ma la pretesa di realismo; soprattutto in una storia che vede protagonisti Romolo, interpretato da un dimenticabile e dimenticato Alessio Lapice, e Remo, Alessandro Borghi, fortunatamente impeccabile.

Il film inventa la storia dei due fratelli e dei giorni subito precedenti la fondazione di Roma, senza seguire il tracciato del mito (non si vergogna peró a politicizzare in chiusura Plutarco che proprio del mito aveva narrato) né le più attente e incerte ricostruzioni storiche della vicenda.
A capo di un gruppo di malviventi e profughi dalla città di Alba Longa, caratterizzati più dai loro volti deformi che da uno sforzo in fase di scrittura, i due gemelli vivono nella tragedia stereotipata il dramma di un inevitabile destino: uno dei due ucciderà l’altro.
Ogni italiano sa dal primo minuto che Borghi sarà ucciso da Lapice, sebbene non possa biasimare lo spettatore che al minuto quaranta non abbia ancora capito chi dei due interpreti Romolo e chi Remo, tanta è confusa la narrazione a riguardo.

L’immersività, che si voleva ottenere facendo parlare ogni attore nello sconosciuto linguaggio del Lazio arcaico, è persa a causa dello stesso: cosa c’è di meno immersivo di un sottotitolo che mi ricorda di essere al cinema?
In fin dei conti Il Primo Re si presenta come uno sforzo produttivo tanto colossale quanto inutile perché carente lì dove i soldi hanno ben poco a che fare: una buona sceneggiatura e una regia ispirata.

Nonostante ciò ecco un film senza termini di paragone:
Mai in Italia si era visto nulla di simile, mai tanta violenza, mai tanto sporco, mai uno sguardo tanto crudo; per questo non si può che gioire nel guardare al nuovo di Rovere, sperando in un futuro per il film di genere italiano.
Ma mai s’era visto ugualmente un film tanto rozzo e poco italiano, mai un film così rivolto con lo sguardo ai lidi hollywoodiani ma carente dell’esperienza necessaria per stupire come riescono Oltreoceano.
Ma è proprio questa assenza di un termine di paragone che ha infervorato gli animi della critica e di chi, uscito dalla sala, ha elogiato la pellicola senza notificarne gli innumerevoli lati negativi.

Accuso uno sguardo compiaciuto nel riprendere la morte di personaggi innominati, cambi di frame rate di una volgarità imbarazzante, una colonna sonora afasica e vfx semi-amatoriali. Vedo una rapporto confuso colla storia e con il mito, con la religione e con il misticismo, una mancanza di sperimentazione e l’adagiarsi a una fotografia da videoclip.
Vedo insomma poca chiarezza di intenti, l’esatto opposto dell’ autorialità.

Certo è qualcosa di diverso, e per questo è meglio di niente, ma a tutti quelli che hanno detto: «è un bel film per essere italiano»; ricordo che un film “bello per essere italiano” è di fatto un brutto film.

Giovanni Merlini