“In sette giorni dio creò il mondo, in sette secondi io distrussi il mio.”
Dopo aver raggiunto il successo in Italia e aver catturato l’attenzione della critica con i suoi lavori, il regista Gabriele Muccino nel 2006 atterra sul suolo americano per dirigere due dei suoi più importanti film: “La ricerca della felicità” e “Sette anime”. Noi ci soffermeremo proprio su quest’ultimo. “Sette anime” è uscito negli Stati Uniti col titolo originale “Seven pounds” il 19 dicembre 2008, mentre in Italia la pellicola, distribuita da Sony pictures, è stata proiettata il 9 gennaio 2009. In America il film ha guadagnato 70 milioni di dollari, a differenza de “La ricerca della felicità” che ne aveva incassati 160. In Italia, invece, nelle prime settimane di programmazione, il film ha incassato più di 11 milioni di euro. I giudizi della critica cinematografica si sono divisi, ma tendenzialmente sono stati negativi. In questo articolo si cercherà di spiegare perché “Sette anime” è uno dei film più belli e intensi degli ultimi dieci anni.
Dopo un respiro lungo e affannoso in sottofondo, la cinepresa si posa con un primo piano sul protagonista, che è al telefono. <<911 emergenza>>, <<Mi serve un’ambulanza>>, <<Qual è l’emergenza?>>, <<C’è stato un suicidio>>, <<Chi è la vittima?>>, <<Io>>. Dopo questo enigmatico e travolgente inizio, veniamo condotti nella storia di Ben Thomas, un uomo che sembra nascondere un oscuro segreto. Per buona parte del film, infatti, non si riesce a capire che cosa stia succedendo e le sue azioni sembrano senza senso o collegamento. Ben Thomas è alla ricerca di sette persone. Ognuna di loro ha una storia diversa e dei problemi da risolvere: Ezra è un non vedente che lavora in un call center, Nicholas è un ragazzino affetto da leucemia, George è un allenatore di hockey che ha bisogno di un rene. Ben incontra queste persone con l’intenzione di aiutarle donando loro i suoi organi o offrendo loro un sostegno come nel caso di Connie, maltrattata dal compagno, alla quale il protagonista regala la sua casa al mare per farla trasferire insieme ai figli. Tutti questi volti si incrociano finché un giorno Ben incontra Emily Posa, che ha bisogno di un trapianto cardiaco, e, dopo averla frequentata per un po’ di tempo, se ne innamora. Così, tra le visioni del passato e la trama del presente, si ricostruisce mano a mano la vita di Ben, che in realtà è Tim, e del peso che gravita sulla sua coscienza. Il disvelamento del mistero non verrà raccontato qui di seguito perché se “Sette anime” riesce a tenere col fiato sospeso per 50 minuti, allora questa recensione dovrà esserne all’altezza.
La trama originale e struggente pare essere quella di un film indipendente, eppure il cast è composto da noti attori hollywoodiani. Will Smith (il protagonista), in questa pellicola, così come ne “La ricerca della felicità”, risulta grandioso e sofferente al tempo stesso. La sua interpretazione tocca il cuore degli spettatori ed è difficile non emozionarsi quando la storia si fa più commovente. Anche Isabel Rosario Dawson, nei panni di Emily Posa, è delicata e toccante. Gli sguardi dei due attori sono compassionevoli ed evocano una sofferenza intima e rispettosa. Woody Harrelson, che interpreta il pianista non vedente, pur avendo un ruolo secondario, è perfettamente equilibrato nel suo personaggio.
Dialoghi veloci e voce fuori campo unite in un montaggio eccellente che mescola piani temporali diversi: Gabriele Muccino racconta una storia di redenzione e di dolore.
Sono tematiche attuali quelle su cui questo film vuol farci riflettere: ha senso donarsi agli altri completamente, sia in senso letterale, che a livello sentimentale? Che cosa sono il perdono e il rimpianto? Qual è il senso della vita? Sono domande a cui forse un film non può dare risposta, ma sicuramente, “Sette anime” offre moltissimi spunti di riflessione. I tempi lunghi che impone il film, infatti, attraversano la storia di Tim e scorgiamo attimi di vita importanti: una donna che decide di salvarsi da un compagno violento, una ragazza che si aggrappa alla bellezza della quotidianità e dei gesti semplici per sfuggire a un destino di morte, la bontà genuina di un uomo che non può ammirare i colori della vita.
Il fatto che il regista tenga lo spettatore all’oscuro della verità per buona parte del film, aiuta a seguire la vicenda, che altrimenti richiederebbe uno sforzo psicologico troppo impegnativo.
Un dolore senza rimedio? No, il rimedio a tutta la sofferenza che vediamo in quasi due ore e mezza di film, è l’amore. Ecco che la pellicola, allora, si tinge di romanticismo. Anche la colonna sonora rispecchia l’andamento delle emozioni dei personaggi e in questo modo si passa da “The Crisis” composta dal grande Ennio Morricone a “Feeling good” dei Muse.
Sono pochi i film che riescono a toccare il cuore e “Sette anime” è sicuramente uno fra questi: intenso, forte e struggente. Forse è difficile immaginare un uomo che scelga volontariamente di donare tutto di sé a dei perfetti estranei, per alleviare un dolore profondo, tuttavia, in tempi in cui le persone troppo facilmente voltano le spalle al prossimo, un film può ancora risvegliare la nostra coscienza.
Silvia Taracchini