CineWriters – La mafia uccide solo d’estate

Un film coinvolgente e forte, da interpretare nella sua completezza. Nonostante duri poco più di un’ora, è denso di contenuti e si presenta come una storia italiana che racconta una precisa problematica della nostra penisola. La regia è di Pierfrancesco Diliberto (che tutti noi conosciamo come Pif) e nonostante sia del 2013, il film si presenta ancora come attuale e disarmante.

La storia ci presenta i personaggi principali subito in maniera diretta, portando lo spettatore a Palermo negli anni ’70 durante un momento di intimità dei genitori del protagonista, Arturo Giamarresi (Pif), il quale viene quindi concepito durante la strage di viale Lazio. Da allora, la sua vita si intreccerà con gli accadimenti di una Palermo in cui Totò Riina si è imposto a capo di Cosa Nostra. Una Palermo che si ostina a negare l’esistenza della mafia. E invece, proprio “mafia” sarà la prima parola di Arturo che, fino ad allora, aveva sempre taciuto.

Arturo è un bambino sveglio e intelligente, e la sua sagacia lo porta a porsi continuamente delle domande alle quali né in famiglia, né a scuola, né tanto meno in Chiesa trova risposta. I suoi interrogativi ruotano sovente intorno al tema “mafia” seppur nemmeno lui, ancora, abbia ben chiaro di cosa si tratti. A quanto pare nemmeno gli adulti ne hanno idea, tant’è che alla domanda del piccolo Arturo, “Ma la mafia ucciderà anche noi?” suo padre risponde,nella inconsapevole ignoranza di una problematica sottovalutata: “Tranquillo, ora siamo d’inverno. La mafia uccide solo d’estate”.

Eppure, nell’innocenza e nella purezza stanno tutte le risposte agli interrogativi sagaci. Pif sfrutta molto bene il potere della metafora, che si ripercuote in una sorta di antitesi tra le parole e i fatti. Non a caso, Arturo parlerà per la prima volta solo alla visione della mafia, personificata da Fra Giacinto (interpretato da Ninni Bruschetta), prete legato a diversi malviventi.

Durante le scuole elementari, due personaggi scuotono la vita di Arturo: Flora (Cristiana Capotondi), la bella bambina figlia di un ricco banchiere, e l’allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, per il quale nutrirà un’insana ammirazione. Arturo fa amicizia con il giornalista Francesco (Claudio Gioè) il quale riconoscerà le sue potenzialità e gli insegnerà i trucchi del mestiere; grazie ai suoi insegnamenti, il ragazzo avrà l’onore di essere uno tra gli ultimi ad intervistare il generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Ad ispirare una delle domande sarà proprio Andreotti, il quale aveva affermato che “l’emergenza criminalità” sarebbe un fenomeno circoscritto alla Campania e alla Calabria. Dichiarazione, naturalmente, che lascia il generale attonito, ben consapevole di essere solo nella guerra contro la mafia.

Le stragi, i morti, le bombe e i proiettili diverranno qualcosa di ordinario a Palermo, ma solo con gli omicidi dei magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino si avrà una vera e propria consapevolezza del fenomeno. I palermitani, fino ad allora, avevano sempre abbassato la testa e accettato ogni collusione con la “fantomatica” mafia.

Arturo racconta la sua storia e, insieme, racconta la storia intorno a sé: la morte di Boris Giuliano, che gli aveva offerto un’iris (un dolce tipico palermitano), la morte di Pio La Torre, i cambiamenti di una città che si risveglia; in stile documentaristico ci mostra i funerali di Dalla Chiesa, di Falcone, delle vittime della strage di via d’Amelio, raccontandoci anche i retroscena e le sfumature del Maxiprocesso. Dietro la costruzione di un racconto basato sull’ingenuità che può trasparire nelle parole di un bambino, si celano ironia e amara consapevolezza. Man mano che la storia avanza, il protagonista costruisce, interpretando unicamente i fatti, una propria consapevolezza di ciò che succede in città, e rivela le tante contraddizioni di uno Stato profondamente impregnato di illegalità. Terminati gli studi, darà legittimità alla sua versione dei fatti quando lavorerà alla campagna elettorale del democristiano Salvo Lima.

Il film è un omaggio agli eroi italiani che hanno dedicato la loro vita a combattere la mafia. Pif, regista e protagonista, ci narra le vicende terribili che hanno insanguinato il capoluogo siciliano, e lo fa, non a caso, attraverso il punto di vista di un bambino: un punto di vista asettico, a tratti comico e a tratti triste, che non pretende di insegnarci qualcosa, ma vuole semplicemente informarci sui fatti di Palermo nei vent’anni di stragi di mafia. Nonostante tutto, all’interno della narrazione scopriamo degli esempi da prendere come modelli. “Va dritto al cuore” – ha affermato l’ex presidente del Senato Pietro Grasso in un’intervista per Repubblica – “Film commovente, ribelle, frizzante, leggero, tenero, e soprattutto vero. “[1]La pellicola ha ricevuto, nel 2014, due David di Donatello, due Nastri d’argento, un Globo d’oro, un Ciak d’oro e un European Film Award. Noi di Cineuni lo consigliamo come film da vedere e rivedere più volte per carpirne i molteplici significati.

Jessica Noli