La vita di Adele (2013) è un film indubbiamente senza filtri. La schiettezza con cui il regista Abdellatif Kechiche ha affrontato il tema della omosessualità, argomento delicato per adolescenti e non, è disarmante, a volte eccessivo.
La vita di Adele nasce dalla graphic novel di Julie Maroh nel 2010 con il titolo di Le bleu est une couleur chaude. L’autrice dimostra un approccio molto meno aggressivo non solo all’amore ma soprattutto alla sessualità rispetto alla trasposizione filmica che, per contenuto e per lunghezza di determinate scene, risulta stucchevole.
L’erotismo è sempre presente, ma viene tratteggiato, quasi abbozzato, lasciando spazio all’immaginazione e aumentando di conseguenza la sensualità della vignetta. Il film invece, forza molto le scene di sesso che non necessitano di tutto quel tempo sulla scena. Così rappresentate infatti, arrivano quasi ad essere paragonate a scene prese al noleggio di un’industria pornografica meramente maschilista, travisando il significato e la profondità del film. Il messaggio arriva chiaramente e direttamente allo spettatore, ma purtroppo l’affanno di alcune scene fa solo venire voglia di skippare. Un vero peccato. Ma se il regista voleva riuscire a creare scandalo e a far parlare del film, ci è riuscito perfettamente.
La storia è molto semplice: Adele (Adèle Exarchopoulos), come ogni liceale che si rispetti, ha voglia di provare nuove emozioni e forti sentimenti. Si concede a un suo compagno di scuola, Thomas (Jérémie Laheurte), ma la fiamma della passione nei suoi confronti non si accenderà mai del tutto perché continuerà a pensare a “la ragazza dai capelli blu” donna incrociata per strada per caso e rincontrata in un sogno erotico. Decide così di lasciare il ragazzo. Incontrerà poi per caso la misteriosa ragazza in un locale gay e scoprirà che il suo nome è Emma (Léa Seydoux) e che frequenta l’accademia delle Belle Arti. Ha così inizio una appassionata relazione sentimentale tra le due ragazze che sfocia anche nella convivenza. Ma Adele non sembra mai abbastanza felice e, sentitasi trascurata da Emma, si concede al suo collega di lavoro. Scoperto il tradimento Adele viene cacciata di casa. Vivrà così un lungo, lunghissimo periodo di solitudine, malinconia e mal d’amore che nessun’altra persona riesce e riuscirà mai a lenire.
Adele è un personaggio contorto, disordinato ed arruffato tanto quanto la sua capigliatura che cerca sempre di sistemare, senza mai farlo davvero. Ha costantemente lo sguardo perso, vuoto e la bocca semi spalancata come se stesse sempre dormendo. Non sembra mai realmente felice, nemmeno quando finalmente si fidanza con Emma, conosce i suoi parenti e amici ed entra definitivamente a far parte della sua vita. Pare che le manchi sempre qualcosa. I suoi atteggiamenti spenti danno l’impressione che venga seguita ininterrottamente da una nuvola di malinconia. Più che mal d’amore, sembra un vero e proprio mal di vivere. Basti ricordare la scena di ballo del suo 18esimo compleanno sulla inconfondibile canzone I follow Rivers di Lykke Li: Adele è lì con i suoi amici ma allo stesso tempo fuori dal mondo, segue un flusso tutto suo di energia e vitalità che la contraddistinguono dalle altre liceali. A tratti Adele ricorda molto la protagonista di Melancholia del regista Lars von Trier, soprattutto nella scena in cui è a mare e resta a galla con il volto galleggiante circondata dall’acqua, che richiama anche irrimediabilmente una attuale Ofelia in pena, immersa nel ruscello.
Emma, al contrario, è sicura di sé, determinata, ambiziosa e fiera di esprimere la propria liberta intellettuale e soprattutto sessuale. Durante il primo incontro con Adele afferma che il caso non esiste, nonostante di fatto la loro relazione sia iniziata e terminata per puro caso. Gli occhi di Emma sono di un blu acceso fatto di tenerezza e compassione per la piccola Adele, che ama più di ogni altra cosa. È la sua musa, la sua compagna di vita e la sua fonte di ispirazione per i suoi quadri. Adele infatti poserà più volte per lei, in una scena che ricorda molto un giovanissimo Leonardo Di Caprio che nei panni di Jack, disegna la bellissima Rose (Kate Winslet) in un film che non ha bisogno di essere nominato. Eppure, irrimediabilmente, tutto finisce. La freddezza e la rabbia di Emma, che si è vista tradita nel momento in cui aveva più bisogno di aiuto e conforto, è incontrollabile; mentre il lamento di Adele appare morboso e realistico allo stesso tempo: è un pianto sofferto e pieno di consapevolezza, un pianto che vuole (quasi esige) perdono, pietà, comprensione. Dopo anni, anche il tentativo di riallacciare i rapporti sarà vano.
La scelta di non mantenere il titolo del fumetto è stato un gesto azzardato, considerando l’importanza del blu all’interno del film. Il blu è un colore caldo dice la graphic novel, quando si sa che il blu sia per eccellenza un colore freddo. Andando più nel profondo però ci si rende conto che il blu è il colore che spiccava nella storia d’amore delle due ragazze, come se la fiamma che bruciasse tra di loro fosse di quel colore e non rossa. Il blu allora è un colore caldo perché fervido di passione, intimo, affettuoso, caloroso e accogliente.
La vita di Adele sarà per sempre avvolto da un alone leggendario fatto di incertezze sulla realizzazione e sul suo significato intrinseco, nonostante alcune rivelazioni scottanti delle due attrici protagoniste. In un’intervista al The Daily Beast, Léa ha spiegato che durante le sequenze delle scene di sesso indossavano delle protesi sui genitali: delle vagine finte che riproducevano in silicone le loro. Ma la performance è così realistica e straordinaria che si è diffusa sempre più la leggenda che le due attrici abbiano davvero consumato dei rapporti intimi davanti alle telecamere.
La dose di perfezionismo maniacale del regista viene rincarata da Léa durante l’intervista sottolineando che Kechiche aveva il pieno potere su di loro e che in alcuni momenti si è sentita violata e umiliata, come fosse una prostituta.
Queste accuse saranno smentite dal regista in una lettera aperta a Rue89, in cui afferma il suo disonore e la sua umiliazione a riguardo, percependo un rifiuto della sua persona come se avesse una maledizione.
Eppure il film è vincitore del festival di Cannes 2013 e il fatto che sia tutt’ora aperto a critiche, sia positive che negative, lo rende attuale, vivace, colorato: sicuramente un film di cui non si smetterà di parlare.
Miriam Russo