Educazione all’affettività

Nelle scuole italiane si studia la tanto celebre educazione all’affettività, ma cosa vuol dire? Perché non chiamare le cose con il loro nome?
Per farla breve vuol dire che usciti dalle scuole medie, gli adolescenti, non sono informati sui pericoli a cui possono andare incontro.
Nel Gennaio del 2019 ho capito il sesso. 
Direte voi, “a 23 anni hai capito il sesso?”
Mi spiego meglio, l’11 Gennaio 2019 ho iniziato a capire quante problematiche si celino dietro il sesso e quanto sia difficile affrontare l’argomento per un adolescente. 

Educazione all’affettività su Netflix

L’uscita della serie Netflix Sex Education ha deciso di sdoganare molti tabù. Ci sono mille serie che affrontano, o hanno già affrontato il tema (mi riferisco ad esempio a Dawson Creek, Beverly Hills 90210, Skins) ma la sensibilità e l’acutezza con cui questo show tratta l’argomento è eccezionale. 

Otis, interpretato da Asa Butterfield (lo abbiamo visto in Il bambino con il pigiama a righe, Hugo Cabret ed Ender’s Game) è il protagonista del programma e ha alcuni problemi con il sesso, nonostante la madre sia una sessuologa, ma lui è come frenato. Nonostante ciò, Otis possiede una profonda conoscenza nel campo della sessuologia, e aiuterà i suoi compagni di scuola a gestire quello che tanto vogliono ma che poi risulta il più delle volte una bella patata bollente: il sesso.

Tuttavia, è doveroso informarvi del fatto che il punto di vista di Otis non è il solo a farsi sentire. Esistono infatti più declinazioni del sesso e nella serie sono approfondite grazie a diversi personaggi. 

Uno dei più interessanti è quello affidato a Emma Mackey, Maeve, che viene continuamente insultata per la sua apparente sicurezza e aggressività. Maeve è in realtà una ragazza molto matura e intelligente, che, a differenza di Otis, non appare così inibita davanti al sesso, ma non fatevi ingannare dalle malelingue dei suoi compagni di scuola, si tratta di un personaggio tutto da scoprire. 

Ncuti Gatwa è Eric, il miglior amico di Otis, è un ragazzo che ha una vita difficile e zeppa di ostacoli, infatti ha ben 5 sorelle! É un adolescente che dovrà avere a che fare con 5 cicli mestruali, e vi assicuro che non è una situazione da sottovalutare. Quasi dimenticavo, Eric è un ragazzo gay che si veste in modo eccentrico ed è senza alcun dubbio il personaggio che rende ogni scena più leggera e dinamica.

British do it better

Dirò spesso questa frase, ma ragazzi bisogna essere onesti, British do it better.
La serie, distribuita da Netflix, ideata da Laurie Nunn e diretta da Kate Herron e Ben Taylor, è un prodotto 100% made in UK e trasuda tutto il fascino britannico di cui avevate bisogno.
Il consiglio è ovviamente quello di guardarla in lingua originale per poter godere a pieno dell’esperienza British.

Passiamo ad analizzare i pro e i contro di questa serie. 

Sicuramente fotografia e colori rientrano negli aspetti positivi che contraddistinguono il programma. È tutto molto vivido e brillante, questa caratteristica rende la serie molto dinamica e accattivante. I colori sono sempre ben bilanciati e anche quando sembrano stridere tra loro la fotografia non risulta mai troppo fastidiosa, al contrario, i contrasti fanno quasi uscire dallo schermo ogni singolo oggetto. 

La colonna sonora è un altro punto forte della serie, riconosciamo canzoni come Take On Me degli A-ha,, Asleep degli Smiths e  Boys Don’t Cry dei Cure, brani che ci riportano dritti negli anni ‘80. 
Non riesco a trovare dei veri e propri contro, tuttavia c’è un aspetto che non mi convince del tutto. 

Questi benedetti anni 80

Io adoro gli anni 80, ma forse stiamo esagerando tutti un pochino.
Soprattutto dopo l’uscita di Stranger Things sembra quasi che si riesca ad apprezzare maggiormente capolavori vintage (ma mai vecchi) come The Breakfast Club, i Goonies, o E.T., senza tener conto che questi film erano dei capolavori anche prima di incontrare la giovane Unici sul piccolo schermo. 

Tenendo in considerazione che, in effetti, anche nella moda gli anni 80 sono tornati in gran voga, ma forse hanno calcato un po’ troppo la mano. Dico questo perché la storia, a tratti, sembra effettivamente ambientata in quegli anni , ma guess what?
Non è così, l’ambientazione è infatti contemporanea, ci basti notare l’utilizzo, anche se sporadico, di smartphone e computer. 

Mi sento di consigliarvi fortemente il lavoro di Kate Herron e Ben Taylor, è divertente e accattivante e poi chissà, magari il giovane Otis potrà insegnare qualcosa persino a voi. 

Samira Haouachi