IFF BERLIN – Una montagna russa di visioni cinematografiche

“Quasi tutte le serate sold out”: il cuore pulsante del cinema italiano a Berlino

Torniamo negli spazi del Kino in der Kulturbrauerei di Berlino, dove il cinema italiano continua ad attirare spettatori. Si respira un’aria di entusiasmo, grazie alla grande partecipazione del pubblico, anche se mancano dati alla mano. In un’occasione, scambio due chiacchiere con un organizzatore che ha seguito meticolosamente ogni serata del festival. Mi conferma che quasi tutte le serate hanno registrato il tutto esaurito, e lo fa con un gran sorriso, testimoniando il successo. Siamo ormai a metà festival, abbastanza per riconoscere i volti che animano le proiezioni e confermare che non si è trattato solo di qualche serata fortunata.

Il video-saluto di Micaela Ramazzotti come morbida transizione

Le presenze in sala e il bisbiglio attorno al festival avevano fatto intuire una grande attesa per la presenza dell’attrice e neo-regista. Ahimè, questa rimane l’unica nota dolente dell’organizzazione interna al festival, poiché la Ramazzotti, per motivi personali, non riesce a presenziare in sala. Gli organizzatori, però, non si arrendono e trovano un compromesso funzionale per favorire comunque il contatto tra pubblico e regista: prima della proiezione, lo schermo si illumina con un video-saluto dell’attrice, che anticipa poco del film ma quel tanto che basta per favorire una morbida transizione tra la vita esterna e la pellicola.

Felicità, un nome bello che non balla

I primi a ringraziare Felicità sono i nostri occhi, che finalmente si trovano di fronte a un titolo di testa non nella più blanda versione di Courier New. Ma sarà solo un riflesso di ciò che il film è in grado di offrire: una falsa aspettativa, che minuto dopo minuto delude nell’esecuzione. Sono innumerevoli le questioni da discutere sulla realizzazione di questo film, soprattutto riguardo alla scrittura dei personaggi. Quello che dovrebbe essere un dramma profondo e distruttivo, trattando il sempre più necessario tema della salute mentale, finisce per generare un senso comico evitabile. Non è grottesco, né vuole esserlo: sembra semplicemente fuori luogo. Il pubblico ride, non si sa bene perché, ma ride tanto. È un discorso già avviato nel nostro precedente articolo sull’IFFB, in cui il pubblico aveva mostrato reazioni comiche anche in scene non intenzionalmente divertenti. Se in Zamora l’intento era chiaramente quello di far ridere, per quanto con una comicità non troppo sofisticata, in Felicità questa volontà non sembra esserci.

Un concept profondo, ma scondito: luci e ombre di Felicità

Facciamo un passo indietro: Felicità racconta di una famiglia disfunzionale, con visioni distorte sulla stabilità della propria vita e, soprattutto, sulla salute mentale. Un incipit formidabile, che inizialmente sembra offrire molta carne al fuoco, ma che si rivela tofu. Scondito, per di più. La regia fa il suo, e in termini di esordi non c’è molto da criticare. È la storia che si perde, come se mancasse una bussola. Il finale, invece di culminare nei valori centrali del film, si rivela una reiterazione non tragica dei personaggi, un non-cambiamento che non culmina in tragedia. Tuttavia, qualcosa si salva: Matteo Olivetti, che incarna perfettamente il suo ruolo, facendo sfigurare gli altri attori. Grazie alla sua presenza assistiamo ad alcune delle scene più toccanti del film, che lasciano l’amaro in bocca per il mancato sfruttamento di un concept così profondo.

Il sabato è tutto di Antonio Albanese

Sabato arriva l’ultimo giorno di proiezioni e porta un grande ospite, forse il più atteso. Tutti fremono dalla voglia di entrare in sala, al punto che si crea una calca di persone fuori dalla porta per correre poi a prendere i migliori posti. Alla fine, una volta entrati nella sala tre, tutti si accorgono che c’è abbastanza spazio e dislivello per godersi lo spettacolo da ogni punto possibile. E così arriva Albanese, che con ogni intervento alimenta quell’aria di fermento. Un personaggio da una duplice faccia pienamente umana, che sa scherzare su ogni intervento ma anche trovare spazio per i temi profondi, che tratta con tatto. Pochissime premesse, probabilmente perché sa che il film parla da sé. Mentre le luci calano, ci sistemiamo per l’ultima volta sulle poltrone del Kino in der Kulturbrauerei.

Cento Domeniche nel culmine del nostro Sabato

La prima cosa che colpisce di Cento Domeniche è la regia. Semplice e funzionale, permette alla storia di brillare. Non è tutta rosa e fiori l’opera di Albanese, ma quando alla base c’è la volontà di condividere un messaggio, si riesce a sorvolare su molte imperfezioni. La storia segue Antonio, un operaio ormai in pensione (o quasi), incastrato in un crollo bancario. I suoi risparmi di una vita vanno in fumo, lasciando ad Antonio un senso di vuoto, poiché rappresentavano il lavoro di una vita, e forse la sua stessa esistenza. La pellicola è grigia. Benché il montaggio sia abbastanza ripetitivo, il succedersi delle vicissitudini rappresenta Antonio sempre più come un riferimento universale, che si ingrigisce con l’evolversi della storia.

Finalmente un Climax!

Durante il festival molte storie hanno cercato di coltivare un bell’orto, ma poche sono riuscite a coglierne i frutti. Il climax, centrale in ogni narrazione, è stato spesso assente. Fino all’ultimo giorno. Antonio Albanese riesce a tessere una trama che esplode nel finale, portando il pubblico a un applauso sentito e prolungato. Albanese spende un fiume di parole sull’opera, sulla propria vita, sulla difesa del piccolo operaio schiacciato dai grandi ingranaggi della nostra società. Tanti sono gli applausi tra una risposta e l’altra, a testimoniare un’approvazione che va oltre quanto visto sullo schermo. Una volta che si conclude tutto, verso la via d’uscita, ho modo di scambiare due parole con lui. La sua piena disponibilità rispecchia il tatto con cui ha voluto trattare il tema del film, storia condivisa da molti.

C’è sempre una poltrona pronta per il cinema italiano

Mentre Albanese si avvia verso l’uscita, il pubblico defluisce e si prende un momento per respirare. La settimana dell’IFFB è stata intensa, ma il cinema italiano è riuscito a permeare i pensieri degli spettatori. Alla fine, ciò che conta non è solo la qualità dei film, ma il riconoscimento dei tanti volti che si sono messi in gioco per raccontare storie e cercare di emozionare. La fortuna di questo festival è stata proprio la possibilità di incontrare queste persone da vicino, a volte con una semplice stretta di mano. E finché i nostri occhi rimangono consci del mare di persone che vogliono esprimersi e raccontare una storia, ci sarà sempre almeno una poltrona pronta ad accoglierci e renderci spettatori. Anche all’estero, anche a Berlino.