Il primo ricordo di Enzo è il mare. Dal suo abisso affiorano ricordi confusi, immagini collettive e suoni cosmici. Egli è stato strappato dal mare di Genova per tanto tempo, risucchiato dalla realtà della città e la sua civiltà, spietata e dalle fosche tinte industriali, urbane , crepuscolari, lontane dal mare dei pescatori.
Enzo torna a casa, a Genova, dopo una lunga assenza. Scende al volo da un treno per ripiombare dentro l’abisso di quella che è stata la sua città per tanti anni. E così la riattraversa alla ricerca dei luoghi del suo passato, sgretolatisi dal passare del tempo. Ad aspettarlo a casa c’è Mary. Lo ha aspettato a lungo, dentro e fuori le sbarre del carcere dove Enzo era detenuto, e dove si sono conosciuti.
Per ingannare il tempo, l’attesa e l’assenza, Mary ed Enzo si sono scambiati messaggi registrati su cassette nascoste, i quali riecheggiano sullo sfondo per tutta la durata della pellicola. Da questi ricordi impressi sui nastri emerge l’importanza per il regista dell’oralità e dei sensi nel processo della memoria, e dei supporti in cui questa si iscrive – gli spazi, la città, il mare. Le immagini soffuse accompagnate dalle registrazioni su cassetta di Enzo e Mary fanno emergere una visione annebbiata della realtà, confusa fino allo smarrimento. E’ stesso smarrimento che prova Enzo nel momento in cui torna alla vita di tutti i giorni.
Il regista del film “La bocca del lupo”, Pietro Marcello, rende lo spettatore protagonista di una realtà brutale di cui non vorremmo mai prendere consapevolezza. All’interno di essa Vincenzo Motta, detto Enzo, interpreta se stesso. La telecamera di Marcello insegue Enzo, cercando di catturarne le sensazioni più profonde, per documentare il suo essere ai margini della società e per quadrare le sue lotte come parte di una più ampia lotta contro la modernità. All’interno di questo contesto, il confine tra documentario e fiction si fa sempre più labile.
Il carcere
Il carcere ha inevitabilmente fatto parte della vita di Enzo. Egli tenta di ignorare il malessere interiore che la reclusione gli ha generato tentando, di ritornare disperatamente a vivere la vita di tutti i giorni. Il carcere è anche il luogo in cui ha trovato l’amore della sua vita. A questo incontro, viene dedicata una lunga inquadratura frontale che, con la macchina fissa e quasi senza stacchi, riprende i protagonisti che possono, uno a fianco all’altra, parlare di loro e di ciò che vogliono senza la mediazione del cinema.
Genova
Marcello cura anche la fotografia e attraverso questa immortala la città di Genova e i suoi colori lividi.
Tornato a Genova, Enzo torna alla vita che viveva prima, tentando di omologarsi, reimparare a vivere. Si mimetizza fra i rumori dell’asfalto e della città a cu non era più abituato, anche il più flebile passo ora è in grado di scuoterlo. Alla realtà si alternano ricordi visivi sospesi in maniera spettrale tra sogno e realtà, dando vita a un intreccio di immagini e suoni da cui è difficile districare contorni nitidi.
Vagando tra i vicoli della città fino dentro le case e le anime dei protagonisti, Marcello arriva all’essenza dei loro desideri più semplici, che diventano maestosi perchè vissuti da uomini al limite estremo della vita.
La casa in campagna
“Il mio desiderio è anche quello. Penso che è anche il tuo sogno, vero?”
Enzo sarà sempre prigioniero del suo carcere interiore. Tutto quello che sogna per liberarsi da questo è soltanto vivere in una casa in campagna, lontano dalla città, da quella società che lo ha abbandonato facendogli credere quanto fosse facile più facile vivere dentro le sbarre, piuttosto che fuori.
Vittoria Torsello