Quella che state per leggere è l’ultima recensione dedicata al Lux Film Prize, il premio che ogni anno, dal 2007, il Parlamento Europeo riconosce ai film che meglio rappresentano i temi, i dibattiti e lo spirito dell’Unione Europea. I tre film finalisti del premio appartengono a generi completamente differenti tra loro: un documentario, Cold Case Hammarskjöld, un thriller politico, El reino, e, infine, un dramma a sfondo sociale, God exists, her name is Petrunya.
Il vincitore del premio è il film realizzato dalla regista macedone Teona Strugar Mitevska, God exists, her name is Petrunya. Oltre ad aver vinto il prestigioso Lux Film Prize, la pellicola è stata presentata anche in altri festival internazionali, dalla Berlinale al Torino film festival. Ha potuto così incontrare gli spettatori di tutta l’Europa e riscuotere successo da parte del pubblico e della critica.
Ribellarsi alle tradizioni
Il film prende spunto da un fatto realmente accaduto nella città di Štip, nella Repubblica della Macedonia. Durante una festa religiosa, viene lanciata una croce nel fiume: tutti gli uomini della comunità fanno a gara per recuperarla e ottenere così fortuna e felicità per un anno intero. Da sempre è tradizione che solo gli uomini possano partecipare alla competizione. Ma non questa volta. Petrunya, disoccupata, sovrappeso, criticata, umiliata da tutti e, soprattutto, donna, decide di tuffarsi e di conquistare l’ambito premio. Questo gesto, apparentemente insignificante, genera uno scandalo all’interno della città e della comunità religiosa. Quello di Petrunya è stato un modo per ribellarsi a tradizioni non scritte, antiquate, ma fortemente sentite. E ora dovrà pagarne le conseguenze. Riuscirà a far sentire la sua voce?
La voce di Petrunya
Nella nostra realtà esistono ancora episodi di discriminazione di genere o casi in cui viene usato un linguaggio misogino in contesti pubblici e lavorativi. Dietro le inutili lamentele di chi sostiene che oggi “non si possa più parlare di nulla senza offendere nessuno”, si nasconde una mancanza di sensibilità. E forse anche l’inquietante pensiero che le donne non possano avere gli stessi diritti degli uomini. Contro queste opinioni bisogna opporre una voce forte e chiara. La voce di Petrunya, ad esempio. Petrunya è tutte noi, quando ci sentiamo sottovalutate perché per alcuni “donna” è sinonimo di fragilità; quando subiamo attenzioni non desiderate e abbassiamo lo sguardo; quando veniamo penalizzate o siamo costrette a scegliere tra carriera e famiglia.
La voce di Petrunya non è solenne, ma semplice, pura, a volte ironica e sempre intelligente. La regista crea un personaggio forte e deciso: una ragazza di 32 anni, laureata in storia, che non riesce a trovare lavoro. Che viene importunata e umiliata dal proprietario di un’azienda tessile. Oltre a questo, si aggiunge un pessimo rapporto con la madre, che non perde occasione per farla sentire inadeguata. La rabbia e il senso di frustrazione spingono Petrunya a fare l’impensabile e a sfidare le leggi e i pregiudizi degli uomini. In quel tuffo nel fiume c’è un desiderio di rivalsa e di ribellione, che mostra la fragilità delle strutture arcaiche della nostra società. Basta un tuffo per rompere il silenzio e le tradizioni.
Teona Mitevska è ben consapevole della potenza delle immagini, per questo sperimenta diverse inquadrature. I primissimi piani, che mostrano il volto di Petrunya, o i particolari, che inquadrano gli occhi carichi di odio degli uomini che la aggrediscono. In alcune scene viene utilizzata la camera a mano, che si pone alle spalle della protagonista. E in altre si susseguono molte soggettive, che rappresentano il punto di vista della ragazza e permettono allo spettatore di immedesimarsi nella sua figura. A queste inquadrature più classiche, si alternano scene in cui le figure vengono tagliate in punti insoliti, o in cui gli attori rivolgono il loro sguardo direttamente alla macchina da presa.
A questa potenza, che si esprime nei contenuti e nelle scelte registiche, si affianca un’ampia conoscenza della società e della cultura della Macedonia. La regista ha infatti affermato:
“Secondo me in quell’episodio [la donna che si è gettata nel fiume per recuperare la croce] si è manifestato lo Zeitgeist dei nostri tempi e così ho deciso di scrivere una sceneggiatura su questo fatto. Mi ha interessato molto anche il modo in cui i media hanno trattato il caso. Non c’è stato alcun dibattito sugli aspetti di discriminazione di genere, il livello della cronaca era molto elementare, e questo mi ha scandalizzato e fatto riflettere. Il mondo è costruito su standard patriarcali e le donne sono definite dagli uomini. Credo che noi donne abbiamo una comprensione più profonda dell’ingiustizia e dell’eguaglianza. Fin da piccole siamo costrette a giustificare la nostra esistenza, i nostri desideri e il nostro ruolo. In fondo siamo tutte Petrunya o vorremmo esserlo. Come dice Ken Loach il cinema può essere un’arma molto affilata.”
La storia che emerge è coinvolgente, fa commuovere e riflettere. Perchè non si parla direttamente di femminismo o politica, ma di cultura e società. Non c’è apparentemente alcun colpo di scena, o incredibile trasformazione, ma solo la determinazione di una donna. Nemmeno Petrunya vuole essere un’eroina. Cerca solo verità e giustizia. Tutte noi possiamo riconoscerci nelle sue parole e nel suo coraggio. Alla fine di una lunga giornata in cui abbiamo lottato con intelligenza e rispetto per far valere i nostri diritti, anche noi, esauste e felici, come Petrunya, non cerchiamo gloria e onori. Vogliamo solo tornare a casa.
Si conclude qui questa breve rassegna cinematografica dedicata ai film finalisti del Lux Film Prize. Possiamo dire che quest’anno sono stati scelti film irriverenti e coraggiosi, su temi delicati e attuali. Tutti e tre hanno mostrato storie di cui nessuno vuole parlare, ma su cui è importante riflettere se vogliamo costruire un mondo migliore.
Silvia Taracchini