I Soprano è letteralmente la più bella opera d’arte di sceneggiatura mai scritta prima. Ma anche dopo.
Avete presente quando si parla di un capolavoro e mancano i termini? L’abuso della lingua, la perdita della ricerca lessicale ha fatto sì che tutto diventasse “capolavoro”, “straordinario”, “magnifico”. Quante serie tv vi hanno suggerito, vendendole per incredibili, per poi avere tra le mani una storia banale, magari girata bene ma decisamente ben lontana dal profumo dei capolavori? Ebbene non è questo il caso.
Chi scrive ha più di trent’anni, so quanto sembri boomer questa affermazione, ma quando vent’anni fa usciva un prodotto la sua serialità era dilatata. La lunga attesa della settimana successiva. Una storia del genere sarebbe stato un eccelso film ma la sua intrinseca ripartizione, scandagliata in quanto seriale, è perfetta per il racconto, così lungo, così veritiero. Perfetta. Non a caso al debutto il New York Times la definì “it just may be the greatest work of American pop culture of the past quarter century“.
È stata la serie di rottura, paradigma per tutto ciò che è venuto dopo. Senza I Soprano non avremmo visto molte serie successive, da Breaking Bad, a Gomorra, fino a Narcos.
I Soprano, The Sopranos in originale, è stata una serie tv americana, scritta da David Chase, prodotta e trasmessa da HBO dal 1999 fino al 2007. Sei stagioni, 86 episodi, dalla durata variabile dall’ora fino alla quasi ora e mezza.
Protagonista è Anthony Soprano, magistralmente interpretato da James Gandolfini, boss della famiglia mafiosa italo-americana del New Jersey, che si scopre, dalla puntata pilota, soffrire di attacchi di panico e per questo inizia un percorso di psicoterapia. Il boss mafioso, cui siamo abituati a dare dei contorni di machismo e imprescindibile sicurezza, finalmente diventa la banalità del male nella sua profondità tutta umana. La psicoterapia è l’arma di disintegrazione, atto di trasformazione ed evoluzione dei personaggi, primus inter pares proprio del protagonista. Non c’è nulla di glamour in questa storia, realisticamente violenta e nera, priva di tentativi di ammicco allo spettatore. Nessun personaggio vuole conquistarci. Mai.
Essendo una serie molto lunga, una sorta di Cent’anni di solitudine trasposta, la trama interseca l’intera saga familiare del protagonista.
Il cast è brillante, molti volti sono già noti per Quei bravi ragazzi (film di Scorsese del 1990) con gli attori Lorraine Bracco, Michael imperioli (ben noto ora per la seconda stagione di The White Lotus), Tony Sirico, Frank Vincent, Joseph Gannascoli e Vincent Pastore. Abbiamo la partecipazione perfettamente coerente di Steven Van Zandt, chitarrista e membro della band di Bruce Springsteen. C’è anche chi ha recitato con un passato da affiliato, come l’attore Gennaro Anthony Sirico Jr nel ruolo di “Pauli” che si è avvicinato alla recitazione in tarda età dopo aver scontato varie pene.
Purtroppo, dalla fine della serie, molti di noi che l’hanno attraversata speravano nel prequel, ma nel 2013 è venuto a mancare James Gandolfini, caso ha voluto in Italia, dove si trovava per fare un viaggio nelle terre d’origine spesso citate nella serie. Abbiamo dovuto attendere fino al 2021 l’uscita dell’attesissimo prequel The Many Saint of Newark, tradotto in italiano ne I molti santi del New Jersey, in cui il giovane Anthony Soprano è interpretato dal figlio dell’attore, Michael Gandolfini (che è stato spesso protagonista di battute divertenti durante il ritiro dei premi vinti). Ovviamente, per chi ama questa storia, c’è grande commozione data l’ovvia somiglianza dell’attore con il padre.
I riconoscimenti negli anni sono stati vari: 16 nomination ai premi Golden Globe, di cui 5 vinti (tra cui “miglior serie drammatica” nel 2000) e 15 nomination ai premi SAG Awards, di cui 8 vinti.
Non stupisce pertanto che nel 2013, la Writer Guild of America, l’associazione degli sceneggiatori americani, abbia decretato i Soprano come miglior serie scritta da sempre.
Nell’epoca in cui le piattaforme sfornano serie tv spesso senza trama, talvolta banali, generalmente facili e senza spessore, vedere i Soprano diventa un atto di presa di coscienza rispetto a come si produce la serie più intelligente che sia mai stata scritta. Eccessivo? Affatto.
Riguardarlo è come vedere un’opera teatrale, sempre uguale e per questo sempre diversa, fin dai titoli di testa in cui scorgiamo panetterie, macellerie, macchine distrutte ed il passaggio autostradale accompagnato da “Woke up this morning”, ci ricorda che la profondità pop è la miglior tecnica di linguaggio per creare un prodotto universale ed eterno. Come I Soprano.
Marta Finiti Loddi