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Qualora non ne aveste ancora sofferto: Magnolia, di Paul Thomas Anderson

Nasciamo. Conosciamo poi progressivamente il mondo come il luogo nel quale possiamo realizzare i nostri desideri. Colmi di spensieratezza viviamo le nostre prime esperienze nella convinzione che il nostro viaggio sarà progressivo, inesorabilmente proiettato verso un radioso futuro dettato dalla nostra volontà. Siamo effettivamente fiduciosi, felici. Poi accade che la vita avviene, che le cose vanno diversamente da come preventivato, che noi stessi facciamo errori e che andiamo fuori giri, che perdiamo il controllo su ciò che ci circonda. Di questo parla Magnolia, film del 1999 di Paul Thomas Anderson: dell’infelicità per quanto è stato e del perdere la bussola.

La  locandina del film, uscito nelle sale a nel periodo di Natale 1999

“Succede, sono cose che accadono. Sono cose che accadono”

A dar retta ad Anderson, Magnolia nasceva inizialmente nelle sue intenzioni come un piccolo film di storie private. Successe però, mentre lo scriveva, che questi personaggi che lui immaginava cominciarono a lievitare, a complicarsi, e il film poco a poco divenne quello per cui oggi viene ricordato, ovvero un melodrammatico e gigantesco affresco corale sull’elaborazione dei nostri mostri interiori. I primi minuti della pellicola sono apparentemente slegati dal resto della trama, e raccontano esempi di casualità talmente straordinari da risultare incredibili. Eppure, la consapevolezza che certi eventi possano davvero accadere deve suggerircele, alcune certezze: il caso permea la realtà, il nostro potere è limitato e ignorare questo fatto condanna al dolore. Una volta che il film ci ha donato questa chiave di lettura, la vicenda comincia, dipanandosi attraverso ben nove personaggi principali le cui storie si intrecciano secondo uno sviluppo tutto sommato simile che le accomuna.

“Noi possiamo chiudere col passato ma il passato non chiude con noi”

Los Angeles. Magnolia Boulevard è la strada della San Fernando Valley attorno alla quale ruotano le esistenze dei protagonisti di questa storia. Ciascuno di loro porta sulle spalle il peso delle proprie colpe e frustrazioni, e il bestiario umano che ci viene disvelato durante il primo atto è quanto mai variegato. Si va dal vecchio presentatore televisivo che scopre di essere malato a sua figlia, tossicodipendente che rifiuta i tentativi di lui di riconciliarsi. Ci sono il bambino prodigio di quiz televisivi, la cui spensieratezza dell’infanzia sta sfuggendo di mano, e l’ormai ex bambino prodigio, uomo di mezza età cui la vita e scelte sbagliate hanno tolto tutto ciò che aveva. Oppure ancora il poliziotto che cerca solo una vita di coppia serena, il malato terminale con un ultimo desiderio, sua moglie disperata per l’imminente dipartita di lui.

Ognuno di questi personaggi ha, a suo modo, un’affascinante complessità, e il cast stellare aiuta a dare credibilità e sostanza alle interpretazioni. Se le prove di John C. Reilly, Julianne Moore o Jason Robards sono veramente solide, i personaggi che rimangono nel cuore sono però altri due. Anzitutto il candido infermiere Phil Parma, personaggio di una levità unica interpretato da Philip Seymour Hoffman, la cui sincera dedizione funge da vero cardine morale, nonché da motore della vicenda che semplicemente tenta di mettere le cose a posto. C’è poi Frank T.J. Mackey, ovvero Tom Cruise, qui in una prova drammatica singolare e straripante, quella di un guru motivazionale. Volgare, arrogante, misogino all’ennesima potenza, tiene corsi di seduzione per uomini e pare non avere alcuna cura per il sesso femminile. Anche lui però nasconde un abisso impossibile da ignorare.

“It’s not going to stop ‘til you wise up”

Magnolia è un film lungo. Lunghissimo. Pachidermico nella sua compassatezza. Lo stesso Anderson ha dichiarato che, potesse tornare indietro, rinnegherebbe la sua bulimia registica giovanile e lo sforbicerebbe di svariate decine di minuti di girato. Eppure è proprio nella sua lentezza che la pellicola pare trovare la sua dimensione e i tempi giusti perché lo spettatore elabori le frustrazioni, le speranze e la disperazione che questi personaggi apparentemente irredimibili attraversano. Le forme del melodramma e della magniloquenza tendono la corda dei sentimenti fino al limite, ed è quando i protagonisti, stremati, colgono infine la realtà delle cose e giungono a una svolta, che avviene la catarsi. In modo unico, assurdo, incomprensibile ma comunque possibile e, forse, necessario. Attorno alla colonna sonora della cantante Aimee Mann ruotano alcuni momenti clou del film: “It’s not going to stop ‘til you wise up”. Ed ecco che la vita è sconvolta, pronta a ricominciare, proprio quando la consapevolezza delle cose finalmente si realizza.

Nicola Carmignani