Ceuta è una città spagnola in Marocco. Un residuo del colonialismo a cui la Spagna non vuole rinunciare, che negli anni è diventato un centro nevralgico del commercio tra i due Paesi. A separare due continenti c’è una dogana, ed è su questa che il film di Randa Maroufi si concentra. La regista, cresciuta proprio su questo confine dato che il padre faceva l’ispettore doganale, è riuscita a narrare con occhio critico e distaccato la danza di persone, merci e speranze che si muovono da un lato all’altro della porta di Ceuta.
Classe ‘87, artista, fotografa, videomaker e performer, Randa Maroufi si è formata in Marocco e in Francia, facendosi strada con un peculiare utilizzo delle immagini in ogni forma. Bab Sebta è il suo quinto cortometraggio, ed è stato presentato in concorso nella sezione documentari della decima edizione del Social World Film Festival di Vico Equense, portando a casa il premio come miglior regia.
Labirinto di linee
Bab Sebta (letteralmente “La porta di Ceuta”) è un film che racchiude in soli 20 minuti tutto il significato della parola confine. La dogana ricostruita in un teatro di posa attraverso pochi oggetti fondamentali e un labirinto di linee disegnate sul pavimento, rivela una critica verso la tendenza umana di costruire barriere dove la natura non ne ha posta alcuna. I personaggi, commercianti e trafficanti, attendono pazientemente dietro linee bianche il loro turno per l’ispezione doganale. Basterebbe un solo passo per superare quella linea, per eliminare il concetto stesso di confine, ma non accade. Ed è questa immagine che colpisce forse più di ogni altra cosa: un confine intangibile, che separa e crea un luogo che altrimenti non esisterebbe, la dogana. Ma in fondo, cos’è un confine se non una linea disegnata per terra con un gessetto?
Osservando un confine
Lo sguardo della camera da presa è distaccato, lontano. Le riprese dall’alto disorientano e confondono lo spettatore in una prima fase, per poi divenire esplicative e fondamentali nella seconda. Le voci narranti appartengono a vari personaggi, che in poche frasi ed in modo solo apparentemente caotico descrivono il non-luogo in cui trascorrono il loro tempo. L’ispettore doganale, il commerciante, il trafficante, il contrabbandiere. Tutti i punti di vista sono affrontati in egual misura, non dando la possibilità allo spettatore di scegliere da che parte stare.Tutti i personaggi appaiono vittime di uno status quo, sebbene ognuno abbia trovato un modo per sopravvivergli.
La danza attorno al confine che Randa Maroufi descrive è circolare, tutti i filoni narrativi si chiudono alla fine del film, lasciando solo sospesa solo la sensazione di attesa, che naturalmente permea i luoghi di passaggio.
Se guardando questo film vi sentirete disorientati, confusi e vi chiederete “ma cosa significa?”. Non preoccupatevi, è normale. Le immagini e i suoni di Bab Sebta dovete digerirli per bene, assimilarli e chiarirli nella vostra mente. Vi stupirete poi della quantità di informazioni ed emozioni che sono racchiusi in questo piccolo film, la storia di una porta tra l’Europa e l’Africa.
Martina Ottaviano