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#SWFF – “Qualcosa Rimane”, ma cosa?

Cosa rimarrà?

“Cosa rimarrà?” è una domanda che tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo posti e alla quale non sappiamo dare una risposta certa. Francesco D’Ascenzo ha posto questa stessa domanda a quindici grandi artisti del panorama italiano, il tutto ripreso e montato nel suo documentario “Qualcosa Rimane”, vincitore della decima edizione del “Social World Film Festival” nella sezione documentari. “Qualcosa Rimane” regia, sceneggiatura, montaggio e fotografia a cura di Francesco D’Ascenzo; musiche a cura della Flippermusic; produttore Brigida Di Rosa.   

“Qualcosa Rimane” è un bellissimo documentario dove Francesco D’Ascenzo, chiede a questi quindici artisti di raccontarsi in una veste quasi familiare, come quando un nipote va dal proprio nonno o dalla propria nonna e gli chiede di raccontare la loro vita e le loro esperienze; ma conosciamo i protagonisti di questo documentario: Carla Fracci (ballerina); Paolo Villaggio (attore); Giorgio Albertazzi (attore); Carlo Giuffré (attore); Antonello Falqui (regista); Morando Morandini (critico cinematografico); Beppe Menegatti (regista teatrale); Eva Fischer (pittrice); Enrico Lucherini (addetto stampa); Maria Luisa Spaziani (poetessa); Raffaele La Capria (scrittore); Renato Sellani (pianista jazz); Manlio Cancogni (scrittore); Enrico Intra (pianista); Carlo Loffredo (contrabbassista). 

Di cosa parla?

Argomenti principali del documentario sono il senso della vita, facendo emergere alcuni ricordi non soltanto legati alla carriera ma anche legati alla loro vita di tutti i giorni; e il senso della morte, facendo emergere la paura di essa ma anche una visione quasi filosofica della stessa. Il punto di forza di questo documentario è l’atmosfera di familiarità; le interviste avvengono all’interno delle case di questi artisti, chi seduto sul divano o su di una sedia nel proprio salotto o nel proprio studio, facendo intravedere un angolo della sfera privata di quest’ultimi, quasi a voler accorciare le distanze tra lo spettatore e l’artista. Questa atmosfera di familiarità ha permesso (secondo me) agli artisti di potersi raccontare in una veste completamente differente, come se avessero calato la maschera da artista e si fossero messi a nudo dimostrando che, nonostante la fama che li porta ad essere distanti da noi, alla fine non lo so sono. A conferma di ciò mi viene in mente l’aneddoto raccontato dal regista Francesco D’Ascenzo, durante il confronto che abbiamo avuto il piacere di avere dopo la visione del suo documentario, su Paolo Villaggio: all’inizio si mostrava nella veste del suo personaggio più famoso Fantozzi, recitando un copione dove raccontava ciò che i giornalisti, in genere, vogliono farsi raccontare. Ciò che ha fatto cambiare atteggiamento a Paolo Villaggio è stato un pomeriggio dove Francesco D’Ascenzo aveva appuntamento con lui alle due del pomeriggio, però Paolo Villaggio non si aspettava che quest’ultimo si presentasse realmente a quell’ora e da lì ha cambiato completamente atteggiamento, spogliandosi della veste di “Fantozzi” e raccontando la sua vita e la sua paura della morte; a conferma di quello che ho affermato poco fa, nello stesso documentario c’è una scena dove Carla Fracci racconta di quando lei è da sola in casa comincia a vagare nei suoi pensieri.

Aspetto tecnico

Altro punto a favore del documentario è il montaggio, a cura dello stesso regista Francesco D’Ascenzo. Alla fine di ogni intervista l’inquadratura restava per qualche minuto sulla persona che aveva appena intervistato facendo partire l’audio di un’altra intervista senza, però, far perdere il filo del discorso della precedente intervista. Sicuramente dietro questo montaggio c’è stato un lavoro minuzioso e attento, e questo ha permesso allo spettatore di non perdere mai il filo del discorso, quasi come se la persona che subito dopo doveva parlare sapesse cosa era stato detto prima. 

Ammetto, però, che nonostante la cura dei dettagli nel montaggio, ho avvertito una mancanza. Non so se voluta o meno la cosa, ma ho sentito la mancanza di una base musicale, che in alcune scene, avrebbero potuto enfatizzare ancor di più il momento che alcuni degli artisti stavano raccontando. Per fare un esempio, nel documentario c’è un bellissimo momento dell’intervista alla poetessa Maria Luisa Spaziani, dove lei dice che quando lei non ci sarà più, a ricordarla saranno coloro che oggi ci sono, ma che anche loro sono destinati a morire e anche il mondo prima o poi finirà e che alla fine non ci sarà più nessuno a ricordare; una visione molto pessimistica, non molto lontana dalla realtà, che avrebbe avuto un enfasi maggiore con la giusta base musicale sotto.

In conclusione

Ritengo che questo documentario sia un importante documento visivo per il panorama culturale italiano. Molti degli artisti intervistati, purtroppo, non sono più in vita e questo per alcuni di essi è diventato un importante lascito per i posteri; una testimonianza che mai più avremo modo di poter replicare. Alla domanda “cosa rimarrà?” rispondo che sicuramente le forti emozioni provate guardando il documentario rimarranno impresse nella mia memoria e mi auguro che questo avvenga per tutti coloro che, come me, hanno avuto l’onore e il piacere di guardare “Qualcosa Rimane” di Francesco D’Ascenzo. 

di Simona Ironico