THE SUBSTANCE – Può un film scomodo farmi sentire così bene?

Immaginatevi lontani dalla vostra famiglia, dai vostri amici di sempre, in una città fredda. Tutto è vivo attorno a voi, ma a volte manca il coraggio di allungare la mano e coglierlo. “Posso farlo davvero?” vi chiedete di fronte a ogni novità.

Perché sto andando a vedere un body horror?

Io sono Samuele e da ormai tre settimane vivo a Berlino. La città è carica di energia, tanto che i primi giorni ho percepito una sovraesposizione a così tanti input da indebolirmi gli occhi. In mezzo a tanto freddo, perché non ripararsi in uno dei luoghi che più scaldano l’anima: un cinema. Mi incammino dopo aver scelto il film, ma nel percorso inizio a ripensarci. Dopo giornate stancanti a sistemare la nuova casa, il nuovo lavoro, le piccole spese…perché sto andando a vedere un body horror? Perché cerco comfort in un film che si trova sulla bocca di tutti proprio per il suo immaginario disturbante? Ma al cinema non si dice mica no, quindi continuo per la mia strada e in pochi minuti sono arrivato. Ho bisogno di certezze.

È tutto nuovo per me

Non so niente di questa città e per una volta volevo recarmi in un luogo di cui conoscessi bene l’iter: entri, compri il biglietto, se hai voglia spizzichi qualcosa e poi in sala ti nascondi nel buio. Quando entro, non capisco nemmeno se sia il luogo giusto. Luci soffuse e colorate, poltroncine e tavolini, addobbi ovunque. Ma soprattutto: non vedo nessun ingresso alle sale. Mi sento perso, tanto che mi avvicino al bancone chiedo al cameriere se sia davvero un cinema. Rimango stupito dalla sua risposta affermativa. Compro il biglietto e immagino di andare dritto in sala, ma mi dicono di aspettare: verranno a chiamarmi loro. Mi butto su una poltrona ed espiro lentamente la rigidità di un posto che non conosco. Le persone attorno a me che chiacchierano di fronte a calici di vino. È tutto nuovo per me, ma qualcun altro riesce a sentirsi a casa qui.

Non è il mio solito cinema

Quando ci chiamano per entrare in sala seguo la massa e rimango stupito accedendo alla stanzetta. Le poltrone, seppur carine, non hanno numeri. Mi accorgo che nemmeno il biglietto aveva indicazioni sul posto a sedere. La bellezza della libertà di scelta a volte viene uccisa proprio dal dubbio che la attanaglia. Quando mi siedo, mi accorgo che non c’è abbastanza divario tra le persone, che se qualcuno si sedesse di fronte a me, la sua testa coprirebbe parte dello schermo. Ma vedo anche qualche ragazza coraggiosa sdraiarsi sul divano davanti alle poltrone. Non so, mi muovo a destra e a sinistra per provare a mettermi comodo, ma quella non è casa mia, quello non è il mio solito cinema. Insomma, non sembra posto per me. Una voce dentro, però, mi dice: “Se solo ti lasciassi andare”. E così inizia il film. 

Un pacchetto carino e invitante, ma dal look minimal

The Substance ingrana e una sensazione smuove il mio corpo, mettendolo finalmente comodo sulla poltrona: il film rilascia qualcosa di così confortevole in me. Mentre l’ambiente mi inietta questa sconosciuta sostanza, lo stesso avviene sullo schermo. Elisabeth Sparkle (Demi Moore) vive una decadenza che ha ormai reso opaco il suo precedente scintillio (ironicamente: sparkle). Vedo passare immagini che mi fanno venir voglia di urlare “Kubrick!” e piano piano familiarizzo con la regia. Coralie Fargeat, regista e sceneggiatrice francese, ci invita a scartare un pacchetto carino e invitante, ma dal look minimal. La sostanza che dà il titolo al film ci promette una nostra versione più bella, più giovane: migliore. Ma. C’è sempre un ma. La storia si sviluppa e ci ricorda che ordine, pulizia e candore possono spaventare anche più di grottesche figure sudicie. Forse The Substance era già in partenza un biglietto vincente.

Come nel mio cinema

Un movimento mi riporta fuori dallo schermo: la ragazza al mio fianco allunga le gambe e si spalma con la schiena sulla poltrona. Seguire gli autoctoni è sempre una buona idea, così la imito. La mia schiena degusta una prelibatezza al pari della Ratatouille servita al critico Anton Ego. Come sul mio divano, come in camera mia, come nel mio cinema. L’opera della regista francese trasla costantemente da Demi Moore a Margaret Qualley, ma sempre nei panni di Elizabeth Sparkle. La storia mi tiene sulle spine, mi mette comodo ma il tanto che basta per stupirmi quando succede qualcosa di nuovo. In questo piccolo cinema, nemmeno sbadiglio più, non vorrei proprio andare a dormire. Ogni tanto mi scappa una risata respirata, di quelle che impegnano solo le narici. Voglio correre all’epilogo, voglio che l’ultima goccia della Sostanza venga iniettata nei miei occhi, che non sono più stanchi ma vispi. 

Di fronte a Ciò, un sorriso stampato nel buio

Credetemi, spoilerare la conclusione dell’opera premiata al Festival di Cannes sarebbe un vero e proprio reato nei confronti del cinema. Chi ha visto sa di che cosa parlo, chi vedrà capirà senza perdere la minima godibilità della scena. Quel che importa è che di fronte a Ciò, con un sorriso stampato nel buio, mi sono sentito davvero a casa. Lo stesso sorriso delle persone attorno a me. Coppiette, amici, lupi solitari: il cinema era ed è un posto adatto a tutti. Per chi lo ama, è impossibile sentirsi scomodi o inadatti, in qualsiasi angolo del mondo sia il cinema in cui mettiamo piede. E così esco dalla sala accorgendomi che in fondo, mi sento a casa.

Un piatto che ci fa tornare alla nostra infanzia

Alla fine, ci sarà sempre un cinema pronto a far risvegliare questa sensazione, come un piatto che ci fa tornare alla nostra infanzia. Sorrido mentre torno al mio appartamento. Sorrido anche mentre mi metto sotto le coperte. Sorrido perché continuo a pensare che mi sono sentito così comodo grazie a un film che aveva la pretesa di farmi sentire tanto scomodo. E ha fatto, superbamente, entrambe le cose.

Samuele Muresu