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Uno sguardo da Ostberlin: Bye bye, Lenin!

Abbiamo a disposizione tanti prodotti cinematografici che raccontano e commemorano il Muro di Berlino, che fino al 1989 ha rappresentato una linea indelebile tra due Germanie – la DDR e la RTF – tra due Europe, tra due mondi che per cinquanta lunghi anni si sono ostilmente contrapposti. Due ideologie: il consumismo americano, simbolo del capitalismo, e la militanza sovietica, rigore dell’Unione Sovietica.

Tra i tanti film distribuiti, quello che Cineuni ha scelto di analizzare per voi al trentennale dalla caduta del Muro è Good Bye, Lenin!, una commedia che Wolfgang Becker girò nel 2003 per raccontarci la quotidianità di una serena famiglia residente a Berlino Est. Sono, infatti, le persone, e il loro vivere diario, a scrivere la Storia.

La pellicola racconta la storia di una famiglia residente a Berlino Est, composta da Alex Kerner (Daniel Brühl), sua madre Christiane (Katrin Sass) e la sorella Ariane (Maria Simon). Durante i festeggiamenti del quarantesimo anniversario della Repubblica Democratica Tedesca (7 ottobre 1989), Christiane ha un malore ed entra in coma. Al suo risveglio, otto mesi dopo, la DDR non esiste più.

Gran parte della pellicola è basata sul gioco del contrasto tra realtà e finzione, come se, nell’intimo spazio di un appartamento, Berlino non fosse mai stata riunita e, anzi, splenda ancora sotto lo sguardo paterno di Lenin. Un piccolo spazio in cui Alex inventa un mondo, e non solo… un microcosmo in cui riscrive la storia e fornisce un’alternativa interpretazione dei fatti accaduti nel 9 novembre 1989.

Attraverso il protagonista, il regista ci fornisce uno spunto di riflessione, attraverso una storia fittizia, su un evento storico realmente accaduto, la cui lettura non è assoluta ma soggetta allo scrutinio di molteplici punti di vista. Ciò a cui il regista vuol dare risalto è una Berlino Est tutto sommato felice, nonostante le continue rivolte, il che ci riporta a un sentimento ancora vivo nella Germania odierna: si chiama Ostalgie, da “ost” (=est) e “nostalgie” (=nostalgia), traducibile con “la nostalgia dell’Est”, una sensazione provata da una società sì più povera ma più collettivista e collaborazionista. Un sentimento, la Ostalgie, originatosi dalla disillusione di una felicità duratura e dai paradossi delle nuove democrazie.

Effettivamente, al di là delle questioni politiche, ciò che più importa al protagonista è proteggere sua madre, militante comunista, dallo shock di una Berlino profondamente diversa, immediatamente e irrimediabilmente assediata dai nuovi prodotti di consumo occidentali, dalle mode, dalle nuove pettinature, dalla musica e dall’arte, da una libertà per troppo tempo ingabbiata nella dittatura sovietica.

Sono numerose le trasformazioni che la caduta del Muro di Berlino ha portato con sé. Tuttavia, al di là delle questioni politiche, economiche, sociali e culturali, l’unica preoccupazione di Alex è preservare la salute cagionevole di sua madre, che è più importante dei fast- food che finalmente ha l’occasione di testare. Infatti, tutto ciò che Christiane troverà al risveglio dal coma è la pantomima di una casa e di una città per lei perfette: ordinate, monocolore e sovietiche. Una realtà fatta soprattutto di oggetti, arredamenti, abiti e linguaggi propri di una certa, asfissiante, retorica. Inutile dire che sono anche (e soprattutto) gli oggetti, che appaiono insignificanti, a rivelarci i significati e le retoriche che stanno dietro a tutto un mondo. Pensate alla Trabant, l’unica utilitaria disponibile nel mercato dell’URSS…

Figura 1: Trabant, utilitaria sovietica

A mio giudizio, questa messinscena, e quindi i continui contrasti tra vero e fittizio, sono degli strumenti attraverso i quali Becker ha saputo raccontare magistralmente una storia tragicomica ma che racchiude in sé valori e messaggi costruttivi. Senza critiche, senza schieramenti, solamente raccontandoci l’amore di una famiglia che, nonostante tutto, è unita e sempre lo sarà, non importa da quale parte del Muro. Una famiglia, quindi, il cui amore non ha confini, non ha barriere, non ha muri. 

Jessica Noli