Fare uscire o meno questo articolo? È giusto scrivere di film che parlano di contagi e malattie mentre là fuori in molti stanno vivendo con apprensione la situazione? Ci abbiamo pensato un po’, e questa pubblicazione è la nostra risposta. Se c’è un motivo per cui le arti, e quindi anche il cinema, esistono, è quello di portarci su di un livello ulteriore, quello dell’irrealtà. È grazie a questo processo di astrazione che, specchiandoci, possiamo riflettere meglio sulla vita vera, interpretarla e, quando necessario, esorcizzarla. Perché evitare l’argomento dunque? I film che vi proponiamo sono uno diverso dall’altro, parlano del mondo, dei rapporti umani, del reagire a ciò che accade. In un momento di bulimia isterica di notizie, noi vorremmo proporvi ciò che un’informazione educata dovrebbe dare: prospettive. Speriamo che apprezziate.
28 giorni dopo di Danny Boyle (2002)
Questo articolo esce il 3 marzo 2020. Ricordate cosa succedeva solo 28 giorni fa? Venivano rimpatriate dalla Cina e messe in quarantena alcune decine di italiani, eravamo alle prime battute dell’epidemia di Coronavirus. Qualcuno dirà che da allora ne è passata di acqua sotto i ponti, e che non ci è andata molto bene. Be’, una cosa è certa, ci è andata sicuramente meglio rispetto ai protagonisti di 28 giorni dopo (QUI il trailer).
Pellicola epocale, il film di Danny Boyle cambia poche regole rispetto al canone dei film dei contagi zombi (in questo caso oltretutto non parliamo di non morti, solo di malati), ma un dettaglio in particolare rivoluziona il genere. Quale? I mostri non arrancano strascicando, corrono. Questo singolo elemento dà tutta un’altra prospettiva alla vicenda, che raggiunge vette di tensione inenarrate e giustifica tutta la premessa iniziale. Cillian Murphy si risveglia da un coma durato appena un mese, e il mondo è cambiato, massacrato da una fulminea epidemia e caratterizzato adesso sia dalla paura per i contagiati che da quella per i sani. È l’ennesimo film sull’homo homini lupus che contraddistingue la nostra specie in situazioni estreme, ma l’ottima sceneggiatura e i virtuosismi al cardiopalma di Boyle lo rendono un titolo fondamentale.
L’esercito delle 12 scimmie di Terry Gilliam (1995)
Come stavamo bene negli anni Novanta! Già consapevoli del nostro impatto negativo sugli equilibri della Terra, ma ancora troppo poco toccati dalle conseguenze per preoccuparcene davvero. Da questo spirito del tempo derivò un cinema con un certo interesse millenarista per i disastri, affrontati però sempre in modo obliquo. Talvolta la spuntava il tono irrealistico, mentre altre volte la piaga di turno era poco più che un motore narrativo (segnaliamo Twister come gradevole eccezione rispetto a queste varianti). Abbiamo i fracassoni Armageddon e Independance Day, gli improbabili (e un po’ cringe) Volcano e Dante’s Peak, il melodramma di Deep Impact e Titanic, i confusi metaforoni di Waterworld, di lì a poco addirittura la complessità concettuale di Matrix. E poi c’è L’esercito delle 12 scimmie (QUI il trailer), un film che tratta di una pandemia senza di fatto mai parlarne. Ci gira molto intorno, indagando piuttosto il confine tra sanità e pazzia.
Un film in cui il regista Terry Gilliam dà sfogo qui a tutta la sua verace esuberanza visiva. Estetica cyberpunk, ecoterrorismo, viaggi nel tempo, indagini noir, cinema manicomiale e della follia… Confusi? Normale. La pellicola ha un ritmo forsennato e diverse incongruenze di sceneggiatura, ma il suo senso, più che lì, sta nel suo impatto visivo. Tante belle idee di scenografia, una regia ubriaca e allucinata, Bruce Willis plasticamente “malato” e Brad Pitt in costante overacting: aspettatevi di rimanere piacevolmente scombussolati da questo film di culto.
Contagion di Steven Soderbergh (2011)
Chiariamolo subito: l’epidemia del COVID19 che stiamo vivendo non è neanche vagamente paragonabile a ciò che viene rappresentato in Contagion (QUI il trailer), che ha dimensioni veramente disastrose. Però, al netto della virulenza assoluta del virus del film di Steven Soderbergh, se volete capire come funziona nel dettaglio un contagio di massa questa pellicola è assolutamente impeccabile. Essa mette in scena un worst case scenario apocalittico, seguendo lo sviluppo della malattia dal paziente zero, attraverso la diffusione esponenziale su scala globale, fino al suo debellamento con lo sviluppo di un vaccino.
Contagion, oltre al buon successo commerciale e di critica, ha ricevuto un generale plauso da tutta la comunità scientifica per la sua efficacia comunicativa e per la correttezza dei processi rappresentati. Imparerete termini come “fomite” o “R0”, vivendo l’esperienza della pandemia attraverso i punti di vista di tutte le parti in causa. Scienziati, giornalisti, governanti, persone comuni: nulla è lasciato al caso, nemmeno le violente ripercussioni sociali che una piaga del genere può generare. Ribadendo quanto già detto, il film affronta in termini iperrealistici una situazione davvero al limite, con conseguenze che potrebbero risultare anche impressionanti. Se quindi quanto stiamo vivendo in questi giorni vi agita più del dovuto, rimandate la visione di questo bellissimo film a data da destinarsi.
La città verrà distrutta all’alba di George Romero (1973)
Non solo morti viventi: il maestro dell’horror George Romero, famoso soprattutto per aver consacrato sugli schermi la figura dello zombi, nel 1973 affronta una variante sul tema. Il titolo originale, The Crazies, ci dà un’indicazione più precisa della trama rispetto al pur più suggestivo La città verrà distrutta all’alba (QUI il trailer) della versione italiana. Una cittadina dell’america rurale viene accidentalmente esposta a Trixie, un’arma biologica che porta i contagiati a una follia omicida. Sicuramente inferiore per qualità e implicazioni politiche rispetto alla Notte dei morti viventi, questo film è comunque un buon esempio di poetica romeriana.
Gli elementi horror e thriller sono finalizzati alla costruzione di un significato satirico più intimo. Potere, individualismo, razzismo: Romero sprofonda Evans City in un girone dantesco di violenza che vuole rappresentare l’America a lui contemporanea. Ancora invischiati nel conflitto vietnamita e freschi di scandalo Watergate, gli Stati Uniti vivono un sentimento di irrefrenabile perdita di umanità. Al contempo, l’epidemia in realtà è nichilismo, rabbia, è sfiducia rispetto a quelle stesse autorità che nelle loro stanze spingono cinicamente bottoni mentre sul campo è l’inferno. Forse una chicca per appassionati del genere, ma sicuramente meritevole di stare in quest’elenco.
I figli degli uomini di Alfonso Cuarón (2006)
I figli degli uomini (QUI il trailer)ha un posto particolare in questo elenco. Molti film sono stati vagliati per questa posizione: REC, World War Z, The Road, Light of My Life, Virus letale, Resident Evil… Ognuno aveva una motivazione valida per stare qua, alla fine però si è optato per l’opera di Alfonso Cuarón. A ben vedere, I figli degli uomini forse nemmeno parla di un’epidemia. Di fatto, l’infertilità che affligge tutte le donne non viene mai davvero spiegata nel suo manifestarsi, potrebbe essere tanto una malattia quanto un castigo divino: non è dato saperlo. Il punto però è che questa pellicola tratta esattamente di quello stesso senso di angoscia collettiva che i fenomeni epidemici alimentano.
Un nemico invisibile, del quale non sappiamo nulla, convive con noi, altera la nostra esistenza al punto di colpirci nella carne. Tutti assieme viviamo una sensazione che ondeggia tra l’ansia, l’orrore e l’elaborazione di un lutto. Ed è però proprio lo spalancamento di quest’esperienza collettiva che ci rende nuovamente consapevoli della meraviglia del vivere e di cose apparentemente banali, come la risata di un bimbo.
Il film gioca tutto su questo, sulla speranza accesa che guida attraverso il dramma di una notte apparentemente senza fine. L’uso estensivo dei piani sequenza sottintende un interesse profondo rispetto a ogni singolo momento che passa. Lunghe scene di persone sì volenterose, ma sempre più stravolte, prede di una fatica che potrebbe in ogni momento piegarle alla resa. E invece è proprio l’amore per la vita che, in un finale dolceamaro, viene proposto come chiave di lettura. Anche in un mondo che pare tradirci, in cui tutto crolla, è la nostra voglia di vivere e di rimanere umani che prima ci redimerà, poi ci salverà.
Nicola Carmignani