La crisi dei semiconduttori e come risolverla
Automobili, frigoriferi, cellulari, computer: i microchip si trovano dappertutto. Oggi però sono un bene scarso, a causa della crisi che ha travolto l’industria dei semiconduttori. La situazione appare così grave che la Commissione Europea ha proposto lo European Chip Act per cercare di arginare la situazione. Ma andiamo con ordine.
Cosa sono i microchip?
I “chip” sono dei componenti elettronici composti da una piastrina del wafer di silicio (materiale semiconduttore) e rappresentano la base su cui costruire i circuiti integrati che si trovano all’interno di qualsiasi device tecnologico. A seconda dell’oggetto in cui è inserito, il microchip elabora le informazioni che riceve sottoforma di segnali elettrici e poi le processa in un’azione attiva. Insomma, quello che il Guardian ha definito “il cervello” dentro a ogni nostro dispositivo elettronico.
Oggigiorno, la tecnologia ricopre un ruolo sempre più centrale nelle vite delle persone e le innovazioni in questo campo sono molto rapide e in costante avanzamento. Per questo, la domanda di microchip è cresciuta a livelli mai visti in questi ultimi anni, tanto che oggi la domanda supera l’offerta di circa il 15%. La pandemia non ha fatto altro che ampliare la domanda di microchip, rendendo di fatto l’industria dei semiconduttori una delle più potenti e floride al mondo: insomma, una gallina dalle uova d’oro.
Il Covid e la crisi dei semiconduttori
Le cose, tuttavia, sono drammaticamente cambiate quando nel 2020 è scoppiata la crisi dei semiconduttori. Tutto è cominciato con la pandemia di Covid-19, la quale inizialmente ha causato forti ritardi nelle consegne dei prodotti finiti. Contemporaneamente, però, i vari lockdown hanno cambiato le abitudini di molti, causando un aumento della domanda di devices tecnologici: basti pensare ai computer per la didattica a distanza e il lavoro agile, le telecamere per le infinite chiamate Skype o Zoom e le macchine per impastare dolci senza lievito.
La crisi dei semiconduttori è stata però aggravata da altre concause, in primis la competizione commerciale tra Stati Uniti e Cina. Già nel 2020, Donald Trump e Xi Jinping erano infatti coscienti di due fattori cruciali, che si confermano veri ancora oggi: da un lato, i rispettivi paesi hanno bisogno di enormi quantità di microchip per consentire la crescita delle proprie economie, dall’altro la loro produzione interna è scarsa e spesso non di alta qualità. Il maggiore produttore di semiconduttori è infatti la piccola isola di Taiwan, che con le sue aziende copre il 60% delle richieste globali di microchips. In particolare, taiwanese è la famosa Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (TSMC), la gigante compagnia che produce il 55% della domanda mondiale di semiconduttori.
Ma non è finita qui.
E i cambiamenti climatici?
Forse non tutti sanno che la produzione di microchip richiede imponenti quantità d’acqua e che, una volta usata, essa risulta inquinata con agenti chimici nocivi. Nel 2021, Taiwan ha sofferto di una delle più gravi crisi idriche degli ultimi 56 anni: a causa del cambiamento climatico, i tifoni che colpiscono l’isola e riempiono di bacini idrici di acqua, hanno spostato la loro traiettoria verso Nord, lasciano a secco l’isola. La conseguenza è evidente: niente acqua, niente microchip. Nonostante il governo di Taipei abbia fatto di tutto per non chiuderne la produzione, di certo le aziende dell’isola sono state costrette a rallentare.
La crisi dei microchip è come una bomba ad orologeria, esplosa però molto prima di quanto si pensasse. Per la legge della domanda e dell’offerta, quando un bene è scarso e la domanda è alta allora i prezzi salgono – e così sta succedendo.
La risposta dell’Unione Europea: lo European Chip Act
L’Unione Europea ha deciso di imporre una svolta a questo meccanismo vizioso. Nell’UE si produce solamente il 9% della produzione globale di microchips, rendendo così gli Stati Membri dipendenti dalle importazioni estere e causando un rallentamento dell’economia già pesantemente fiaccata dalla pandemia. La Commissione Europea ha quindi presentato lo European Chip Act, un piano di investimenti privati e finanziamenti pubblici da 43 miliardi di euro per incentivare la produzione di microchips. L’obiettivo? Arrivare nel 2030 alla produzione del 20% della domanda mondiale di semiconduttori e “rendere l’Europa leader in questo mercato”, come ha detto affermato la presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen.
Non c’è dubbio che lo European Chip Act rappresenti un importante passo in avanti per l’Unione Europea, ma da alcuni è stato accolto con un certo scetticismo. Politico, in particolare, ha evidenziato in maniera forte sei possibili ostacoli al piano. Tra questi troviamo citiamo la scarsa esperienza in campo europeo nel guidare ampie politiche industriali, gli investimenti insufficienti se comparati con quelli fatti da Stati Uniti, Cina e Corea del Sud e la rapidità con cui la domanda di chip deve essere soddisfatta.
Nonostante le difficoltà, l’Unione Europea sta andando verso la giusta direzione perché la competitività e l’approvvigionamento di semiconduttori è centrale per il futuro economico e tecnologico dell’Unione. Ora la palla passa nelle mani del Parlamento Europeo e degli Stati Membri, che dovranno attivamente discutere la proposta.
Di Martina Garziera