22 milioni i civili a rischio, di cui 1 milione sono bambini.
Dallo scorso 15 agosto il governo dei “nuovi talebani” si è insidiato in Afghanistan.
Nonostante le rassicurazioni sul piano internazionale, non ci sono segni evidenti di un chiaro taglio con il passato, tutt’altro.
Gli ultimi vent’anni non sembrano aver lasciato il segno: sparizioni, esecuzioni, paura attanagliano la popolazione e i civili che osano contestare l’esecutivo.
La situazione è drammatica: all’instabile scenario politico, si aggiungono carestie e siccità.
Se già negli ultimi due anni c’è stata una vera e propria lotta per la sopravvivenza, adesso la FAO stima che 22 milioni di afghani rischiano di non mangiare. Senza contare il dato raccapricciante di oltre 1 milione di bambini che a causa della malnutrizione grave, rischiano la morte e necessitano di cure immediate.
Negli ultimi tre mesi la Nato, l’ONU, l’Unione Europea e gli Stati Uniti d’America hanno dichiarato, in ordine sparso di voler:
- vigilare sulla situazione del paese
- preservare i progressi nel campo dei diritti civili
- aprire un corridoio umanitario per i rifugiati
- salvaguardare gli aiuti umanitari, evitando, però, di finanziare i “nuovi” talebani.
Dalle immagini shock degli ultimi aerei che lasciavano Kabul questa estate, dopo il ritiro delle forza americane ed europee dal territorio, tutto sembra fermo, carico solo di una apparente calma tensione. I governi occidentali sono chiamati a una difficile opera di cooperazione, che però da qualche parte dovrà pure iniziare.
L’inverno è alle porte.
L’Afghanistan ha fame.