Bruxelles vs Betlemme? Cosa c’è di vero nel caso del Christmas-gate?

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Non so se sia la tua preferita, di certo però “All I want for Christmas is you” di Mariah Carey e i suoi campanelli è tra le canzoni natalizie più popolari.

Ma aspetta! Ho dimenticato “A Natale puoi”, che ancora si studia al flauto o alla diamonica nelle scuole medie, oppure “Happy Xmas” di John Lennon, tutta da schitarrare sotto l’abete addobbato.

Peccato che da domani dovremo cantare “All I want for Ramadan is you”, oppure “Ad Hanukkah puoi”, ma sempre dopo “Happy Halloween”. Con buona pace di qualche giornalista-criticone, che in TV si avventa su inermi zucche gialle intagliate. Non lo sapevi? 

Le buone – vecchie – feste di Natale sono state rottamate. Basta-finite-caput.

Al loro posto, la Commissione europea avrebbe ben pensato di piazzare tutte quelle che non fanno parte della nostra tradizione e non trovano spazio nel calendario, magari tra il Santo del giorno e l’appuntamento dal dentista…

A “scoprire” la “deriva antropologica e sociale dei nostri costumi e tradizioni” – parole del vicesegretario federale della Lega Lorenzo Fontana, già Ministro per la famiglia durante il Governo Conte I – è stato per primo “Il Giornale”. Poi sono seguite le denunce dei leader della destra sovranista e conservatrice di mezza Europa (se ancora possiamo chiamarla così, o piuttosto estremo-nord Africa, oppure super occidente asiatico). 

Già nel suo discorso sullo “Stato dell’Unione”, la Presidente della Commissione Ursula Von der Leyen spiegava che

“La nostra è un’unione di Stati membri con società diverse: la diversità è parte di ciò che siamo. Quando non sarà escluso nessuno e tutti potranno realizzarsi, allora saremo forti. È questo il senso del motto ‘Unita nella diversità’”.

Non un motto qualsiasi, ma quello che dovrebbe rappresentare l’Unione europea. Allora, la Commissaria europea all’Uguaglianza, la maltese Helena Dalli, aveva proposto l’impiego di linee-guida per una Comunicazione inclusiva, lanciate con un Tweet a fine ottobre.

Giornalisti e politici schierati hanno però dovuto prendersi un mese di tempo prima di gridare allo scandalo, proprio quando panettoni e pandori spuntano nei corridoi di fronte alle casse dei supermercati: “L’UE vuole cancellare il Natale”. 

“Evitate di dare per scontato che tutti siano cristiani. Non tutti celebrano le festività natalizie e non tutti i cristiani le festeggiano negli stessi giorni. Siate sensibili alla possibilità che le persone possano avere differenti tradizioni religiose e calendari”. Questa, l’indicazione incriminata, che ha fatto indignare anche i più insospettabili. “Natale potrebbe essere stressante”? Meglio dire “Le vacanze potrebbero essere stressanti… Per chi festeggia Natale o l’Hannukkah”. 

Come grandine, però, le accuse contro Bruxelles hanno fatto indietreggiare la Commissione, che ha preferito ritirare il documento (destinato ad un uso interno), sempre per bocca della delegata all’Uguaglianza Dalli. 

Tradizione, storia, retaggio, radici, eredità culturale: “nessuno tocchi il cristianesimo”, “no ai colpi di spugna del politicamente corretto”. Il dibattito sulle radici cristiane dell’Europa è forse il più antico ed appassionante, tra quelli che caratterizzano il processo di integrazione europea.

Le radici cristiane dell’Europa

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, in diversi interventi pubblici Papa Pio XII aveva esortato i governanti a fondare un nuovo ordine internazionale sui “principi morali” della “solidarietà” e della “cooperazione”, per la civile regolazione dei rapporti tra stati. I padri fondatori dell’UE, come Il Presidente del Consiglio italiano Alcide De Gasperi o il Cancelliere della Repubblica Federale Tedesca Konrad Adenauer, erano esponenti di forze politiche popolari e dichiaratamente cattoliche.

I loro discorsi erano orientati sul rispetto della dignità della persona, “inviolabile” e “inscindibile”, tanto che proprio il Primo Ministro italiano – ad esempio – aveva sostenuto l’accordo con l’Austria per il riconoscimento e la tutela della minoranza linguistica tedesca del Trentino-Alto Adige. 

Nello stesso periodo, non è un caso che in Italia si facessero largo le tesi di Federico Chabod sulla storia e l’idea di Europa. Durante i suoi corsi universitari di “Storia di Europa” a Milano e a Roma, lo storico e partigiano italiano individuava l’esistenza di una “civiltà europea” attraverso un approccio – potremmo dire – per contrasto: non un insieme omogeneo ed ordinato di caratteristiche, ma un distillato di tutto ciò che l’Europa “non è” e “non sarebbe mai stata”.

Per Chabod l’Europa iniziò a prendere consapevolezza di sé solo in epoca moderna (le distinzioni antecedenti riguardavano prevalentemente aspetti di carattere geografico), attraverso alcuni valori che la caratterizzavano, come la libertà (“ellenica”, alternativa alla “tirannide asiatica”) e l’universalismo frutto della “christianitas” e diffuso nel medioevo anche nelle regioni nordiche.

Queste riflessioni sono patrimonio della scuola di politici, filosofi e commentatori che ha ritenuto il processo di integrazione europea “irreversibile”, dai contorni quasi finalistici. In questo senso, furono accolti con i rami di ulivo gli ingressi nell’Unione degli stati dell’Europa centro-orientale, sfuggiti al giogo sovietico, come Polonia o Ungheria.

“Finalmente l’Europa tornerà unita” – si raccontava – sebbene storicamente non lo fosse mai stata, tranne per alcune celebri eccezioni, come durante l’Impero Romano, quello napoleonico e la quasi dominazione nazista. Insomma, non proprio quelli che si definirebbero “dei grandi esempi”. 

In questi 75 anni di storia, però, quasi ciclicamente, è tornato alla ribalta il tema delle radici cristiane dell’Europa. L’esempio più recente riguarda forse le politiche sulla famiglia e il riconoscimento dei diritti civili alla comunità LGBTQ+.

Nei primi anni 2000 poi sembrava imminente l’ingresso della Turchia del partito dei conservatori islamisti nell’Unione europea. Così soprattutto certi ambienti ultraconservatori avevano denunciato il rischio di un’Europa “musulmana”, incapace di mettere nero su bianco la sua storia cristiana.

Un altro esempio è il tentativo fallito del trattato costituzionale europeo. Tra il 2004 e il 2005, il rapporto tra Bruxelles e il Vaticano raggiunse il suo punto di minimo. I Capi di Stato e di Governo dei Paesi UE erano divisi in «separatisti» e «pattisti», ovvero stati che avevano affermato in modo netto il principio di laicità – come la Francia –, e quelli che invece regolavano i rapporti con la Chiesa Romana attraverso dei concordati specifici, tra cui l’Italia. Anche in quel caso, il compromesso raggiunto fu un sibillino riferimento alle “eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa”, ma senza chiamare direttamente in causa il Cristianesimo.

Tornando ai giorni nostri, il Christmas-gate sulla Commissione che avrebbe voluto cancellare il Natale cristiano, più che scoop, puzza tanto di pranzo delle Feste andato a male: gli elementi che lo compongono sono importanti, la riflessione ha origini lontane, i contributi sono stati sempre molto densi ed appassionanti.

Oggi, però, non sembrano esserci alternative allo scontro tra fazioni del “politicamente corretto” e dei suoi detrattori.

Ma se la funzione del linguaggio è proprio quella di creare ponti e collegamenti tra parlanti, prima o poi arriverà il momento di dover fare i conti con le trasformazioni interne alle società europee. Riconosciamo l’esistenza di un piano pubblico e di uno personale: il primo frutto dell’incontro con chi è-altro-da-me, il secondo inviolabile, proprio grazie alla lezione dataci dal Cristianesimo umanista, che oggi – però – sembra essere stata dimenticata. 

Paolo Cantore, da Forlì, per Europhonica. 

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