A chi non è mai capitato di ballare della musica Irish?
O di passare una serata di fronte ad una Guinness?
Oggi è una di quelle serate.
Ormai lo avrete capito, si parla di Irlanda.
Al centro dell’attenzione da diversi anni dopo la Brexit e a causa di alcune controversie legate a grandi multinazionali che vi hanno sede, l’Irlanda è uno Stato relativamente giovane.
Le origini dello Stato irlandese risalgono, infatti, al Trattato anglo-irlandese del 1921, raggiunto al termine della guerra d’indipendenza irlandese, in base al quale venne istituito il Libero Stato Irlandese.
Quest’ultimo costituisce circa l’80% dell’isola, mentre sei contee nella provincia dell’Ulster sono rimaste sotto la sovranità del Regno Unito: sì, sto parlando proprio dell’Irlanda del Nord.
L’Irlanda, insieme a Danimarca e Regno Unito, è stata protagonista del primo allargamento dell’attuale Unione Europea nel 1973: con l’adesione dei 3 il numero di Paesi membri è passato da 6 a 9.
Entrando a far parte della Comunità economica europea nel 1973, ha potuto beneficiare così dell’afflusso di sussidi comunitari che si sono rivelati uno dei più rilevanti fattori di crescita economica del paese.
La “tigre celtica”
Fino agli anni ‘90, però, è rimasto relativamente povero come Paese, caratterizzato da una forte emigrazione, ma la rapida crescita economica avuta tra gli anni ‘90 e 2000 le è valsa l’appellativo di “tigre celtica”: nel decennio 1995-2004 ha avuto infatti tassi di crescita medi del 9/10%.
Tale crescita è stata in gran parte frutto di politiche di attrazione degli investimenti esteri: il paese ha infatti optato per una politica fiscale espansiva, imperniata su una tassazione alle imprese molto bassa, considerata talvolta un vantaggio sleale.
Da qui le numerose critiche e controversie con la stessa Commissione europea: la cosiddetta “Corporate Tax”, l’aliquota sul reddito delle società, è fissata al 12,5% a fronte di una media europea pari a circa il 23%.
L’accordo raggiunto dall’OCSE per una “Corporate Tax” globale al 15% costituirebbe, secondo il Guardian (ma non solo), uno dei più grandi cambiamenti nel sistema fiscale irlandese degli ultimi 20 anni.
Data l’importanza del settore finanziario sul PIL irlandese, nel 2008 ha risentito duramente della crisi economica internazionale. Nonostante l’intervento del governo, il rischio di default, è stato superato solo grazie alla concessione di un ingente prestito congiunto da parte del Fondo monetario internazionale (FMI) e dei membri dell’UE.
Proprio per questo, l’Irlanda è stata inserita nel gruppo dei paesi PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna): per intenderci, quelli particolarmente a rischio di insolvenza nell’area Euro.
I suoi rapporti con l’Unione Europea…
L’Irlanda, alla conclusione della Seconda guerra mondiale, non ha aderito alla Nato, portando avanti una politica di neutralità.
Questo da una parte non le ha impedito lo sviluppo di una collaborazione con gli Stati Uniti, dall’altra è stata causa di rapporti “altalenanti” con l’Unione Europea: oltre ad opporsi alle iniziative in materia di sviluppo della difesa comune europea, l’Irlanda – la cui costituzione prevede che le modifiche ai trattati comunitari debbano essere sottoposte a referendum – ha bloccato, nel 2001 e 2008, la ratifica dei trattati di Nizza e Lisbona, approvandoli solo nel 2002 e 2009.
…e con il Regno Unito
I suoi rapporti con il vicino orientale, nonché ex potenza coloniale, non sono sempre stati “rosa e fiori”, specialmente negli ultimi anni.
Specialmente dopo la decisione del Regno Unito di uscire dall’Unione Europea.
I cosiddetti troubles, nome che indica di fatto il conflitto etnico-nazionalista svoltosi in Nord Irlanda dalla fine degli anni ‘60, hanno trovato una temporanea conclusione nella stipula del cosiddetto Accordo del Venerdì Santo (Belfast Agreement o Good Friday Agreement) del 1998, raggiunto soprattutto grazie al ruolo di mediazione svolto dagli Stati Uniti.
La Brexit, però, ha peggiorato come mai prima d’ora i rapporti tra Irlanda e Regno Unito: il governo britannico, con Boris Johnson, ha più volte cercato di mettere in discussione il Protocollo su Irlanda e Irlanda del Nord, pensato proprio per preservare la pace sull’isola e l’integrità del mercato unico europeo.
Il Protocollo ha di fatto spostato il confine tra Irlanda del Nord e Regno Unito in mezzo al Mare d’Irlanda, causando non poche difficoltà burocratiche e problemi alla catena di approvvigionamento inglese (come se non bastasse poi si è aggiunto il Covid).
E, aggiungo io, ha di fatto reso il Nord dell’isola parte integrante del mercato europeo rendendo l’idea di un’Irlanda unita sempre più plausibile. Almeno secondo il Sinn Féin, partito politico di sinistra, d’ispirazione socialdemocratica e repubblicana, presente sia nella Repubblica d’Irlanda che in Irlanda del Nord, che non aspetta altro che avere la maggioranza dei voti in Irlanda del Nord per proporre un referendum e unificare l’isola.
Non possono a questo punto non venirmi in mente le parole di Will Millar, cantante nordirlandese degli Irish Rovers, pronunciate durante un concerto a Toronto, in Canada: “I hope you get an opportunity to visit a peaceful, united Ireland”, in italiano: “Spero che abbiate la possibilità un giorno di vedere un’Irlanda unita e pacifica”.
Insomma, questo piccolo Paese ha ancora molto da dirci e sicuramente in futuro farà parlare nuovamente di sé.
Jacopo Bulgarini