Condanna della Corte di Giustizia UE alla «Legge Stop-Soros»
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Se fai parte di una ONG che sostiene i migranti nella presentazione di una richiesta di asilo o magari sei un avvocato impegnato a districare l’ingarbugliata matassa legale dei richiedenti, sappi che dal 2018 in Ungheria potresti inciampare nella commissione di un reato.
Le ONG che sono in prima linea per la difesa dei diritti umani questo però già lo sapevano.
Ma tu, invece, ne eri già a conoscenza?
Uscita più che vittoriosa dalle urne chiuse nell’aprile di due anni fa, la schiacciante maggioranza ultraconservatrice e sovran-pulistista del Primo Ministro ungherese Viktor Orban doveva dar seguito alle promesse staccate in campagna elettorale: fermare l’invasione dei migranti, fermando le Organizzazione non Governative, braccio operativo del nuovo ordine mondiale ideato da George Soros.
Così, mattoncino dopo mattoncino, in Ungheria hanno cominciato a smantellare le garanzie dell’ordine liberale, mostrando i muscoli e prendendo provvedimenti seri, in nome di risposte «pragmatiche», di «buon senso».
Scavare attorno alle ONG, rendendone sempre più complicato il finanziamento o mettendo al bando l’aiuto offerto ai richiedenti asilo, è stato uno dei primissimi provvedimenti, subito ribattezzato «Legge Stop-Soros» ed approvato dal Parlamento ungherese il 20 giugno 2018 – una data che forse potrebbe non dir molto, se non fosse che ricorra proprio la Giornata mondiale dei rifugiati.
Cosa prevede la «Legge Stop-Soros»?
Secondo la legge, puoi essere punito se sapevi che al richiedente asilo a cui hai dato assistenza non gli sarebbe stato riconosciuto lo status di rifugiato. Questo si traduce nel divieto più o meno esplicito di aiutare un richiedente asilo a fare ricorso, se magari in prima istanza le autorità ungheresi non certificano l’esistenza dei requisiti umanitari fissati dalle Convenzioni internazionali.
In breve, l’onere dell’ultima prova spetterebbe non tanto ai tribunali, quanto alle ONG che sostengono i migranti nella presentazione delle richieste. Guai se fosse dimostrato che non si poteva non sapere: potresti essere processato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Sembra complicato, ma la logica è molto semplice: siamo costretti a concedere l’asilo ai rifugiati – bene – ma rendiamo le procedure molto complicate e puniamo chi vorrebbe aiutare un afghano oppure un nigeriano – che potrebbero non essere esperti di diritto ungherese né tantomeno conoscerne la lingua…
Leghiamo le mani a loro, per legare le gambe ai migranti. E se volete, aiutateli a casa loro, perché farlo in casa nostra è vietato per legge.
L’8 novembre 2019, la Commissione europea, che vigila sul rispetto del diritto dell’Unione, ha presentato ricorso davanti alla Corte di Giustizia dell’UE. Martedì scorso – il 16 novembre – i giudici dell’Unione europea hanno formalmente riconosciuto che l’Ungheria è venuta meno ai suoi obblighi di stato membro, accogliendo buona parte dei rilievi mossi dalla Commissione – non tutti in realtà, ma faccelo pure sapere se volessi saperne di più.
Pensa che la legge «Stop-Soros» impone il divieto di avvicinarsi alle frontiere ungheresi a chiunque sia sospettato di aver offerto aiuto ad un migrante nella presentazione di una richiesta di asilo. In pratica, ipotizzando un reato apertamente contrario al diritto europeo, come la traduzione o mediazione linguistica per un migrante oppure la sua assistenza giuridica.
Ma il governo ungherese, adesso, riconoscerà la sentenza, oppure come accaduto in Polonia, dichiarerà la supremazia del diritto nazionale sulle regole comuni europee? Restano in ballo e fanno gola i finanziamenti europei, su tutti il Next Generation EU per la ripresa economica post-pandemia. L’ultima spiaggia, ma forse anche l’ultima cordicina, che tiene ancora legate all’occidente europeo le nuove democrazie illiberali dell’est.
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Paolo Cantore