Stasera abbiamo l’onore di intervistare un nostro compatriota che è riuscito a sfondare all’estero. Siamo qui con Ricky Russo, un vero e proprio genio eclettico italiano: partito dalla radio e dal Djing in Italia, arrivato all’organizzazione di eventi nella città che non dorme mai: New York.
Mamma mia che presentazione, grazie, mi emoziona!
Beh penso che se avessi usato le parole prese dalla tua presentazione sul tuo nuovissimo sito (https://www.rickyrusso.com/) l’effetto sortito non sarebbe stato troppo differente: si passa dalle esperienze in radio (Su tutte il programma “In Orbita” per RadioTv Capodistria), all’organizzazione di concerti ed eventi culturali collaborando anche con Guggenheim Museum, ai premi letterari per il libro del 2017 “Daghe. El Greatest Hits”, alla tua ultima esperienza come “guida turistica”. Come si fa a trovare il bandolo della matassa di quest’ecletticità?
Non lo so nemmeno io! (ride, ndr). Per citare un mio grande mito, Henry Rollins “Non ho nessun talento, ma mi sveglio presto la mattina, mi rimbocco le maniche e mi do da fare.” e nel “Grande Pomo”, come chiamo io la grande mela, se hai voglia di fare e ne sai un pochino, i risultati e le soddisfazioni arrivano ed è anche più facile portare avanti più progetti. Le esperienze come giornalista musicale a Radio Capodistria, per il Piccolo, quando ho fatto il Dj o l’organizzatore di eventi a Trieste le cose sono andate benissimo, poi però verso il 2012 volevo cambiare e ho provato l’avventura, il mito di New York che avevo sempre avuto, riiniziando un po’ da zero come giornalista e da un po’ di tempo a questa parte c’è questa esperienza della guida turistica.
Una guida turistica molto particolare. Hai avuto un’idea molto originale: quella di creare dei tour di New York che seguano dei percorsi musicali o cinematografici. C’è stata una scintilla che ti ha fatto venire quest’idea?
Innanzitutto devo dire che ci ho messo dentro tutte le mie passioni: la musica, il cinema, le serie tv, la street art, i fumetti. A Trieste l’andazzo seguiva il motto “No se pòl”, “non si può”. Io sono arrivato in America nell’epoca di Obama, del “Yes we can” e a New York? “The sky is the limit”! Mi sono subito innamorato della città. È una città molto meritocratica, c’è spazio per tutti, anche se tutti i migliori in tutti i campi son là, io mi sono meritato subito l’epiteto di “The most enthusiastic man in New York”. Ho girato molto la città, ho fatto molti tour da cliente. Ho visto che non c’erano molti tour in italiano, per gli italiani, che uscissero dal seminato di Madison Square Garden e dei soliti giri. Così ho iniziato questo progetto e pian pianino, anche grazie ai miei contatti italiani, il progetto ha ingranato e ora abbiamo diversi tour: l’East Village attraverso il rock’n’roll e il punk rock, un tour ad Harlem con il gospel, il funk e il soul, Greenwich Village la zona più bohemien con Bob Dylan e i pittori impressionisti. A New York si sprecano le storie da raccontare e ci sono un milione di turisti italiani all’anno. Adesso tra l’altro stiamo iniziando ad espanderci anche a Philadelphia e Washington e sono molto contento. Nel 2021 vorrei creare un tour tra diverse città, tutto improntato sulla musica.
Ai tempi dell’Università hai fatto una tesi sui Punk Movies: nei tuoi tour passate anche dai luoghi del Punk?
A me del Punk è rimasta la mentalità, l’approccio: fare ciò che vuoi, che ti piace, e soprattutto fare qualcosa con i mezzi che hai a disposizione, con passione, senza scoraggiarsi, senza ascoltare le voci della società, ma solo la propria voglia e i propri tempi. Joe Strummer su tutti è il mio mito: non solo un musicista, ma un filosofo, un trascinatore di folle. C’è un film molto bello diretto da Julien Temple “The future is unwritten” che racconta la vita di Strummer e racconta del suo amore per un locale di New York: il Niagara Pub. Il punk americano è nato praticamente in questo locale e nel film c’è una scena in cui dipingono un murales dedicato a Joe Strummer. Io ho lavorato in quel bar come Dj per un anno, e il murales fa parte di uno dei miei tour.
Sei super-entusiasta di New York ma ami anche Trieste e il triestino, dato che hai scritto un libro (Daghe! El Greatest Hits) che racconta New York in dialetto triestino. Come si coniugano queste due cose?
In modo molto naturale, perché il dialetto triestino è l’unica lingua possibile per un triestino e l’evento di vivere a New York, che era per me straordinario, non poteva che essere raccontato con questo linguaggio: sono riuscito così a restituire in modo genuino e molto sincero i miei primi tre mesi in America, che arrivavano dopo un periodo difficile in Italia. Poi New York l’han raccontata in tanti, ma nessuno in triestino!
Per finire: Trieste o New York? Italia o America?
America! Come dicevo prima per il mestiere che faccio il clima che c’è qui è per me ormai irrinunciabile. Sono un americano ormai.
Bene, grazie mille e in bocca al lupo!
Grazie a voi!