A sette anni dalla sua morte, Lou Reed resta uno degli artisti più iconici e compianti di quelli che furono i meravigliosi anni del rock tra la fine dei ’60 e l’inizio dei ’70. Prima coi Velvet Underground, poi come solista, Reed ha inciso nella storia della musica capolavori immortali che echeggiano ancora oggi nelle nostre radio e nei nostri spiriti.
Uno dei lavori più significativi è sicuramente Transformer, album solista uscito nel 1972, prodotto da David Bowie e Mick Ronson, il leggendario chitarrista di Bowie in Ziggy Stardust e nel relativo tour.
L’album sembra rispecchiare la vita di Reed tra eccessi, droghe e depressione: si passa dai picchi di Vicious e Hangin’ ‘Round alla struggente Perfect Day o all’intima Walk On The Wild Side, fino a Satellite Of Love e a Goodnight Ladies, un brano che sembra uscire dalle fumose strade della New York del jazz.
Oltre a un suono interessantissimo, a tratti rock, a tratti intimo e cantautorale, quello che colpisce del disco è la chiarezza con cui Lou Reed tratta temi per l’epoca ancora tabù, come la propria sessualità, di cui non ha mai fatto mistero. Ma anche l’abuso di sostanze stupefacenti e la depressione.
Tutto è perfettamente riassunto in Walk On The Wild Side, la droga, il sesso, la disperazione, la vita difficile di una prostituta, temi tutt’altro che scontati, che fanno di Reed quasi un novello Caravaggio. Il tutto supportato da una ballata rock che mette quasi tranquillità nonostante le situazioni tutt’altro che tranquille narrate.
Walk On The Wild Side si può davvero considerare la colonna sonora della vita di Lou Reed e al tempo stesso un invito per noi, come quello che una prostituta rivolge a un passante dal marciapiede: fatti un giro e vedrai. L’invito che vi facciamo oggi è quello di ascoltare Transformer e farvi un giro in quel lato selvaggio di Lou Reed e di ognuno di noi.
Alessandro Monfroglio