«Un disco che si evolve ad ogni ascolto, in cui il fruitore, che sia ascoltatore o lettore, deve fare la sua parte per incontrare il poeta/autore, il quale semina tracce da seguire, attraverso la scelta di parole, pause, suoni, dinamiche»: è così che gli Escape to the Roof definiscono il loro primo EP.
Uscito lo scorso 23 gennaio, Escape to the Roof è il disco omonimo che segna l’esordio della band, di cui sappiamo molto poco. Infatti, i quattro componenti, ovvero G.C. Wells alla voce e chitarre, Jann Ritzkopf VI alle chitarre, Zikiki Jim al basso e Canemorto alla batteria, hanno deciso di rimanere anonimi e non divulgare immagini dei loro volti, per fare in modo che l’ascoltatore si concentri puramente sulla musica.
Misteriosi e rockettari, il giusto connubio per farsi affascinare e per ascoltare l’EP, composto da dieci brani che toccano innumerevoli sfumature rock, dagli anni ’70 fino ad oggi.
I temi sono dei più vari, ma tutti riconducono all’uomo e alla sua molteplice esistenza. Ci sono il profeta, il vagabondo, il mago, il rivoluzionario, il pezzo da novanta e il suo torturatore, l’uomo nero, e molti altri personaggi che vagano in ambientazioni da tessuto suburbano, ora contemporaneo, ora distopico.
Eclettici, ermetici, criptici, ma le loro influenze rock sono chiare come la luce del sole, sotto più aspetti. Partendo dalla scelta della lingua, ovvero l’inglese, che è quella della tradizione rock per eccellenza, sicuramente comunicativa, melodica e universale, per raggiungere un pubblico quanto più ampio possibile. Altro aspetto importante è la durata di alcune tracce che supera di gran lunga i classici 3 minuti radiofonici: brani da 7-8 minuti (come Staring at the sun, Now it’s just you and me, Remember me) con intro lunghi che introducono il brano lentamente, un po’ stile Pink Floyd e un po’ Porcupine Tree.
Infine, ma non per importanza, gli arrangiamenti puramente psychedelic/elettro/glam rock. Tuttavia, i brani si presentano simili tra loro, con un sound che li lega gli uni con gli altri; a tratti ci sembra di ritornare ad ascoltare prima Robert Plant, poi Mick Jagger, passando per Freddie Mercury fino a Luke Spiller dei The Struts.
L’identità di una band è sicuramente una caratteristica importante, ma spesso, anche saper uscire dalla propria comfort zone può spingere a migliorarsi come artisti. Quindi, sicuramente, un passo in avanti che ci aspettiamo è quello di riuscire a trovare un’identità molto più forte dal punto di vista musicale, non perdendo mai la vena rock che hanno sapientemente sperimentato, fino a farci esclamare: «Ah, loro sono gli Escape to the Roof!».
È vero, vogliono restare anonimi (porterà fortuna come è accaduto per Liberato? Chi può dirlo), ma la loro musica sicuramente merita di non restare tale.
A cura di: Chiara Di Bernardo