Il ritorno sulla scena musicale internazionale di Stromae è sicuramente una delle notizie più belle degli ultimi tempi.
È mancato, tanto, e negarlo sarebbe da bugiardi. A nove anni di distanza dall’ultimo album racine carrée – e i relativi successi Papaoutai, Tous les mêmes e Formidable – il cantautore belga è tornato con Multitude, il suo ultimo progetto discografico che rappresenta l’ennesima conferma del suo talento più unico che raro e della sua poliedricità artistica.
Il disco è il risultato di questi nove anni di assenza, segnati da grandi difficoltà a livello di salute sia fisica che mentale che lo hanno portato ad allontanarsi dal successo e dedicarsi a sé stesso e alla sua famiglia. Il suo difficile trascorso durante questi anni ha ispirato questo nuovo progetto, sfruttando la sofferenza non per autocommiserarsi, bensì per guardarsi intorno, andando alla ricerca di qualcuno da consolare. Si è messo, in ogni canzone, nei panni di un personaggio diverso per il quale prova una sorta di compassione.
È proprio questa una delle caratteristiche più straordinarie del cantautore: è un narratore eccelso che riesce a trasmettere empatia fin da subito e ogni tematica viene trattata con tatto e intelligenza. Basti pensare al modo molto diretto, senza giri di parole, in cui parla dei suoi pensieri suicidi in L’Enfer, la cui esibizione in un telegiornale francese ha fatto aumentare le chiamate al numero del servizio sanitario francese per la prevenzione al suicidio.
Gli argomenti e i personaggi descritti sono vari: si passa dagli invisibili nella società in Santé alla condizione lavorativa delle donne in Declaration, dalla nostra forza interiore che esce fuori nei momenti di difficoltà in Invaincu alle difficoltà di coppia in Pas Vraiment. Il nuovo singolo in rotazione radiofonica, Fils de Joie, addirittura parla del figlio di una prostituta. Le ultime due tracce dell’album sono due descrizioni di due tipi diversi di giornate: da quella negativa di Manvaise journée a quella positiva in Bonne journée perché, come Stromae stesso spiega, «la vita è così, c’è il lato negativo e c’è quello positivo. Le ho scritte in contemporanea, come guardandomi allo specchio».
Questo melting pot di tematiche viene armonizzato con una moltitudine – l’ennesima di questo album – di suoni provenienti da ogni parte del mondo, rendendolo una sorta di famiglia musicale multietnica. Archi, percussioni, strumenti tipici di culture musicali sudamericane e africane, synth, corni: il tutto è accompagnato da un sound electropop, dance e afrobeat, tutte caratteristiche che aveva già sperimentato nello scorso progetto come, per esempio, nel brano Ave Cesaria.
È un progetto completo, compatto – basti notare come il brano più lungo duri solamente 3:21 minuti – che rende onore al talento di questo Artista e dimostra il fatto che c’è bisogno di tempo e pazienza per poter creare e costruire un disco che rispetti le aspettative e che non sia l’ennesimo progetto buttato sul mercato solo perché, al giorno d’oggi, ci si sente quasi obbligati ad uscire con qualcosa il più velocemente possibile.
Adrian Caporrella