Queste giornate sono particolarmente nuvolose.
Molto scure per essere nel mese di aprile, e ancora troppo fredde per sembrare primavera. E’ come se l’inverno non se ne fosse mai andato; sono tutti sempre di cattivo umore, il bel tempo sembra non arrivare mai e siamo ancora completamente bloccati nei meandri della noiosa quotidianità. Ma l’altro giorno il mio vivere è cambiato anche solo se per poche ore ed è entrato in una dimensione bizzarra e tenebrosa; uno spazio da cui mi è stato difficile uscire. Erano le 8 e mezza di mattina, avevo ancora sonno e continuavo a guardare fuori dalla finestra nella speranza che le ore passassero il più velocemente possibile. Nel tumulto di molti pensieri discordanti, avevo fatto partire CODEX LENTIGINOSUS di Remo De Vico.
Quel poco di bagliore che penetrava nella stanza ha iniziato ad oscurarsi, come se il mondo, in quel momento, non avesse più luce. In realtà non capii cosa stessi veramente ascoltando; so solo che quell’ammucchiata di suoni messi insieme con una determinata logica stava amplificando quella giornata grigia. Mi alzai e incominciai a vagare per la stanza con questo suono strano che fuoriusciva dalle casse ad alto volume; mi immerse totalmente in uno spazio claustrofobico. Mi mancò l’aria per qualche secondo; non potevo abbandonare l’idea che quello che stavo sentendo mi spaventava ma, allo stesso tempo, mi stava dannatamente attraendo.
Di Remo non so granché: so che è nato a Cosenza e che si è laureato in letteratura, musica ed intrattenimento alla Sapienza di Roma. Inoltre, ha studiato composizione nella musica elettronica al conservatorio Santa Cecilia. Se dovessimo provare ad esaminarlo non si potrebbe prendere in considerazione un unico e singolo tassello ma, piuttosto, vederlo nella sua interezza. Ricordo molto bene che quel giorno non ascoltai nient’altro che lui. Quei suoni campionati, di una precisione ai limiti dell’ossessione, avevano espanso la mia percezione dei sensi. Era come se tutto attorno a me stesse facendo rumore; dai granelli di polvere sulla scrivania, ai vestiti buttati sulla sedia. Ogni cosa, anche se immobile, emetteva un suono, preciso, chiaro. Capì ad un certo punto che non stavo ascoltando delle semplici ‘composizioni’, ma piuttosto delle sinfonie ben studiate che prendevano come protagonista la rumoristica moderna. In realtà non so molto bene come definire quella sensazione. Il tempo sembrava rallentato, e quella rara sensazione d’inquietudine che mi piombò addosso improvvisamente non mi ha lasciata per qualche giorno. È stato un viaggio angosciante che rifarei un milione di volte.
Testo e grafica di Ludovica Sanseverino