Ho cercato su Google Maps Parco Natura Morta, così per curiosità, anche se sapevo che non avrei trovato un luogo fisico con questo nome. Dopo questo momento di internet-verità, ho ascoltato il brano S’è persa. Uscito l’11 febbraio, il singolo d’esordio della band veronese Parco Natura Morta mi ha lasciato un’emozione particolare. Forse, ora, ho capito il motivo.
Cosa s’è perso ? Lo ritroveremo mai ?
Andiamo più a fondo.
Quindi, come al solito, momento analisi del testo.
S’è persa nel tempo nel silenzio e nel vento
Una goccia che fa traboccare il pacifico
Il testo inizia con una denuncia di scomparsa, anzi più che di scomparsa, di smarrimento. Il soggetto è femminile e lo si capisce solo dalla coniugazione del verbo, perché non viene mai nominata. Proseguendo nella storia, capiamo che si tratta di qualcosa di delicato, quasi impercettibile ma tanto potente da far traboccare addirittura un oceano.
E forse non ti importa più di niente
E credo che tu sia cambiata
La matassa si inizia a dipanare e si comprende che si sta parlando probabilmente di una qualità fra la pura speranza e l’ingenuità cristallina di chi crede tutto possibile e poi si accorge che questa goccia si può perdere. Ed è proprio in quel momento che subentra la delusione, quando sopraggiunge la consapevolezza del cambiamento.
Vorrei spargere al vento
Tutta la rabbia che ho dentro
Ma ho scoperto che nel letto d’un fiume
Anche le pietre più dure
Divеntano sabbia
E le puoi calpestare
Sеnza farti male
Da qui la delusione lascia un piccolo spazio alla rabbia che subito viene vinta dalla rassegnazione: questo sfogo non servirà più a nulla e addirittura ci porterà a detestare quello che vorremmo.
E detesto quello che vorrei
Utilizzerò una frase un po’ inflazionata però sicuramente calzante ‘Il teso del brano è breve ma intenso’. Si tratta di poche ma profonde parole incentrate sulla tematica della perdita di qualcosa di innominabile, misterioso ma vitale. Risulta quasi scontato rivelare una forte influenza cantautoriale indie, sulla strada di artisti come Ex-Otago, Dente e Cosmo. Però, va ribadito, che si tratta di quell’indie che canta la vita in un modo malinconico ma anche elegante, non tralasciando l’aspetto prettamente musicale. Difatti, sia all’interno del brano che alla fine, in maniera quasi sorprendente per una canzone indie, le parole lasciano spazio alla musica; donando così un momento di pura riflessione all’ascoltatore e permettendo a lui/lei di interiorizzare il brano.
Quindi?
Promossi!
Se questo è solo il primo atto, con un grande applauso, aspettiamo trepidanti gli altri brani.
A cura di Elena Gigli