Vi ricordate dei Kasabian? L’alternative-rock band inglese che ha toccato il picco di fama nel primo decennio dei ‘2000, quelli di Club Foot (molti la assoceranno alla soundtrack di Fifa 13), quelli di Underdog. Piccola panoramica del gruppo: il loro primo album, “Kasabian” (2004), è un pezzo di storia dell’alt rock, e su un totale di 7 album in studio, 6 hanno stazionato in vetta degli album più venduti in Inghilterra (ironicamente, l’unico a non aver raggiunto il primo posto è proprio il loro album di debutto…follia); ad oggi tra album e singoli hanno venduto circa 10 milioni di copie (comunque poco per una band come questa, ma è una mia opinione assolutamente non imparziale).
Fino a qui tutto ok, il classico percorso di tante band: il debutto, il successo, gli alti e bassi. Ma nel 2020 Tom Meighan, cantante, fondatore e carismatico leader della band, adorato dai fan, si costituisce e viene processato per violenza domestica nei confronti della compagna. Per l’importanza all’interno della band e per il rapporto coi fan, è come se ai Rolling Stones venisse improvvisamente a mancare Mick Jagger; “viene a mancare” perché, com’è naturale che sia, la band non ci sta e lo scarica non appena vengono ufficializzate le accuse. Tutto questo alle soglie della creazione del nuovo album; dopo che l’ultimo, nonostante un paio di hit, era andato abbastanza male nelle vendite, e soprattutto dopo aver suonato insieme per 23 anni. Questa premessa era doverosa per comprendere da dove sia nato “The Alchemist’s Euphoria”, e cioè dal più grande momento di smarrimento del gruppo, che nel frattempo è stato preso in mano da Serge Pizzorno, chitarrista, corista ed altra colonna portante del gruppo (nonché altro fondatore della band, insieme all’attuale bassista Chris Edwards).
Lo stesso Pizzorno in un’intervista ha dichiarato che quest’album è stato un termometro, un modo per vedere come stesse la band e cosa fosse in grado di fare; un nuovo punto zero, e per davvero, visto che le differenze rispetto a prima si notano parecchio. Se da una parte in ogni album dei Kasabian è presente una buona dose di sperimentazione, dall’altra quest’ultimo si discosta davvero molto da tutto ciò che hanno fatto finora; il che non è per forza un aspetto negativo, ma… se non mi avessero detto che erano i Kasabian, in alcuni pezzi avrei fatto fatica a riconoscerli. Il gruppo ci aveva lasciato con un disco (“For crying out loud”) carico di positive vibes e con svariate canzoni voce e chitarra, e ora con “The Alchemist Euphoria” ci troviamo davanti a un disco elettronico, a volte malinconico, altre volte acido e aggressivo, che richiama cultura rave e suoni futuristici; una scelta che evidenzia una decisa accelerata nel voler continuare a sperimentare, ma che d’altra parte a volte sembra mancare di quel filo rosso, quel collegamento con gli album precedenti che ti faccia dire “ah, questo è proprio un album dei Kasabian”.
Filo rosso che però sembra collegare tra loro le canzoni molto meglio che in passato: questo è probabilmente il primo vero e proprio concept album della band. “The Alchemist’s Euphoria” si apre con “Alchemist”, canzone orecchiabile che in maniera soft ma piacevole restituisce la cifra stilistica dell’intero album, attraverso elementi come la distorsione della voce o il quasi totale abbandono delle chitarre in favore di sintetizzatori e (in altri pezzi) 808; la canzone presenta un testo che viene spontaneo associare agli eventi prima descritti (“Trying to get a way from the burning in my head”, “take me to a time we all could believe in”), ma questo non è l’unico pezzo malinconico dell’album, vedasi per esempio “The Wall” (Why’d you do it, why’d you have to lose control? Well, I blame it on my heroes. Said a lot of things I know I will regret. That’s the point of getting old”).
Non si pensi però che l’album sia tutto qui, una raccolta di canzoni intime e malinconiche, nostalgiche di un passato che è stato spazzato via: in TAE sono presenti anche pezzi molto energici come “Rocket fuel” (a mio avviso decisamente non all’altezza), “Scriptvre” e soprattutto “Alygatyr” (una di quelle in cui l’elemento Kasabian è secondo me meno presente in assoluto, ma che nonostante ciò rimane la mia preferita dell’album); ci sono poi brani più sperimentali come “T.U.E.” (forse il brano che mi ha spiazzato di più, e lo dico senza nessuna accezione negativa), con un finale particolare, molto alla “Shine On You Crazy Diamond” dei Pink Floyd, e “Stargazr”: qui i Kasabian ci hanno definitivamente lasciati per andare tutti insieme a un rave, salvo ricomparire subito dopo in “Chemicals”, probabilmente il brano piu “classico” dell’album, anche se comunque lontano dai ritornelli catchy che erano sempre stato il marchio di fabbrica della band. Oppure, ancora, brani strumentali come “ae space”, dominato da un sintetizzatore che restituisce la sensazione di fluttuare nello spazio aperto. Perché, e finalmente ci arriviamo, il concept dell’album è proprio questo: un viaggio interstellare, che ha come meta non la scoperta di qualche mondo sconosciuto, ma la scoperta di sé stessi… tutto sommato, il mondo più sconosciuto di tutti; e vista la situazione, nel loro caso questo vale ancora di più.
Insomma, quest’album è un sperimento riuscito? O è solo un tentativo di mettere un cerotto su una ferita insanabile?
A mio avviso, “The Alchemist’s Euphoria” non è sicuramente il lavoro meglio riuscito del gruppo: i testi sono apprezzabilissimi (d’altronde Pizzorno ha sempre contribuito come autore), ma le sonorità non sempre mi hanno convinto; non è un album brutto, ma non è tra i miei preferiti. C’è però da sottolineare che, per quanto personalmente apprezzi tutt’ora il loro lavoro precedente, “For Crying Out Loud”, avevo come la sensazione che l’ispirazione in casa Kasabian iniziasse a scarseggiare; se proprio vogliamo trovare un punto positivo agli eventi che li hanno travolti negli ultimi due anni, beh forse un cambiamento deciso era esattamente ciò di cui avevano bisogno. Il cambio di formazione che ha portato Pizzorno al microfono ha costretto la band a modificarsi radicalmente: l’impronta di Serge in The Alchemist’s Euphoria è ancora più visibile di quanto non lo fosse prima, e l’album ha portato la band a seguire inevitabilmente quella che era l’ispirazione del loro nuovo leader in quel momento, abbandonando le correnti power-pop più attribuibili a Meighan in favore di un maggiore uso di distorsioni e sintetizzatori.
Si può dire che ci troviamo davanti a un cambio simile a quello che c’è stato quando Phil Collins ha sostituito Peter Gabriel nei Genesis? Il leader non c’è più, a compensare la perdita c’è un altro elemento fondamentale della band, che da qui in avanti guiderà il gruppo: aspettiamo di vedere cosa ci riserberanno in futuro, prima di giudicare.
Federico Beltrami