Nella storia della musica i casi di omaggio a grandi artisti del passato o di rielaborazioni di brani più o meno noti sono innumerevoli e, quasi sempre, estremamente rischiosi. L’allarme dell’effetto copia e incolla è dietro l’angolo, mentre il giudizio del pubblico non lascia spazio a passi falsi. Consapevoli del pericolo, i Deep Purple intitolano il loro ultimo lavoro “Turning to Crime”, consegnandosi all’autorità degli ascoltatori per il verdetto finale.

A un anno dall’uscita dell’album “Whoosh!”, capitolo finale di una trilogia che ha scalato le classifiche mondiali, il gruppo britannico ritorna dal 26 novembre con un disco- esperimento, una raccolta di cover riarrangiate secondo il suo stile inconfondibile. Recuperando alcuni dei brani che maggiormente hanno influenzato il loro gusto e la loro formazione artistica, trasformano un insieme di registrazioni in studio in un gioco di fantasia e di sperimentazione musicale, sopravvivendo alla ghigliottina che attende gli artisti che si cimentano nel tentativo delle cover.
La prova risulta pienamente superata: il gruppo, considerato tra i pionieri dell’hard rock, recupera la varietà di generi che da sempre gli appartiene e si mette in gioco, allontanandosi dal processo di composizione dei lavori precedenti, frutto di lunghi incontri dal vivo e di jam sessions da cui hanno origine i loro successi originali. Nel pieno della pandemia e quindi costretti all’isolamento, i grandi della Mark VIII identificano nelle rielaborazioni di pezzi anche distanti dal loro stile il modo migliore per continuare a fare musica, con grande freschezza e vivacità e con il marchio di modernità della produzione di Bob Ezrin, già presente nei lavori precedenti.
“Turning to Crime” era stato anticipato dal singolo “7 and 7 is“, recuperato dalla discografia dei Love e arricchito dall’energia inesauribile della band. Il resto dell’album è costellato di chicche raffinate e di curiosi espedienti, dal rock blues di “Oh Well” (Fleetwood Mac) con il timbro di Gillan in grande risalto, all’atmosfera orchestrale di “Let the good times roll” (Ray Charles & Quincy Jones). Inoltre, se non fosse già abbastanza sorprendente la versione proposta di “Rockin’ Pneumonia and the Boogie Woogie Flu” (Huey “Piano” Smith), i Deep Purple regalano ai fan più affezionati una squisita citazione al piano dello storico riff di Smoke on the Water.
L’album si chiude con un medley, prevalentemente strumentale, manifesto della loro intenzione di continuare a giocare con la musica, con la maestria di chi ne ha già definito un pezzo di storia.
Martina Gimeli
Grafica di Chiara Di Bernardo