Nell’ultimo tratto del mio viaggio verso casa continuo a pensare agli ultimi sei giorni a Sanremo, a quello che il festival continua a significare per noi e al motivo per cui amo il mio lavoro. Nonostante i critici amino denigrare il festival sin dagli albori di questa manifestazione questo non smette di arrivare alla maggioranza degli italiani e continua, direttamente o indirettamente, a influenzarne il gusto e il panorama musicale.
Questa forte fascinazione l’ha subita anche la redazione RadUni, che ha passato gli scorsi sette giorni a rincorrere artisti che non facevano sempre parte dei loro gusti. Eppure, nonostante i nostri pregiudizi e il nostro snobismo, la musica ha compiuto anche quest’anno il suo miracolo. Nel bene e nel male, per motivi giusti o sbagliati, nobili o popolari, in questi sette giorni si è creata di nuovo una vera e propria comunità. E di fatto è questo il motivo per cui esiste la musica. Dai rave in spiaggia ai canti tribali, dalla lirica al concerto del primo maggio, il primo vero potere della musica è quello di raccogliere le persone e di far battere a tutti il cuore allo stesso ritmo, sincronizzandone i respiri, le parole, i movimenti e di conseguenza le nostre relazioni.
Nell’epoca di internet e delle cuffie che ci portano ad ascoltare la nostra musica senza condividerla con nessuno, festival e concerti sono ancora un luogo dove possiamo accorgerci di far parte di una realtà più grande, bella o brutta che sia. Piangiamo per le stesse storie, ci emozioniamo sulle stesse strofe, memorizziamo gli stessi versi e cantiamo le stesse note, a prescindere dalle nostre differenze geografiche, linguistiche, culturali e di vita. Anche quest’anno la fatica fatta lascerà il ricordo di esperienze, amicizie e confronti unici: splendidi regali delle magiche sette notte (ok, dai, dodici se contiamo anche i semitoni).