Quando la musica decide di non essere di plastica.
Capita nella vita di sentirsi persi. Arriva a tutti il momento in cui ti sdrai sul letto a guardare il soffitto a pensare, a ragionare sul tuo futuro. Vorrei poter dire che si tratti di una situazione che si limita all’età dell’adolescenza o alla prima gioventù, ma in realtà questa sensazione labirintica e angosciante si sviluppa con l’avvicinarsi dell’età adulta, quando le tue responsabilità si fanno più claustrofobiche e ti sembra di vivere in un limbo perenne. E capitano quei giorni inaspettati, in cui un ragazzo di 21 anni decide, di sua spontanea volontà, di farti sentire la sua musica, e ti risveglia da un sonno incantato che ti teneva ancorato ad un’agonia esistenziale. Quel ragazzo si chiama Andrea Foscarin, classe 2001, in arte Fosc4, che lo scorso 26 maggio ha fatto uscire A mezz’ora da te, brano in featuring con Thomas Siviero, classe 2002, in arte Thosiv.
Dopo il primo ascolto, la mia curiosità aveva incominciato a farsi alta; decidemmo di incontrarci per un’intervista perché volevo scavare a fondo nella questione. Abbiamo chiacchierato per parecchie ore, del più e del meno; abbiamo parlato di musica, di come vivono l’arte i giovani al giorno d’oggi, di che rapporti quest’ultimi hanno con la realtà e la concretezza della vita. Andrea è nato e cresciuto a Genova e ha iniziato a fare musica all’età di 16 anni; a seguito di un passato tosto e momenti difficili, voleva rendere tangibili le sue emozioni e ha iniziato a scrivere «ciò che sentiva» in un quadernetto degli appunti. Ma, come ci racconta l’artista, «il mio migliore amico ha cominciato a fare musica e mi ha detto che aveva bisogno di me come sostegno morale, e perché mi aveva affermato che con me avrebbe potuto fare grandi cose». Difatti, A mezz’ora da te, è un brano scritto a quattro mani insieme a Thosiv, artista principale e ideatore del brano, che ha abbozzato il testo per poi perfezionarlo insieme all’amico, e quello che ne esce fuori è alquanto interessante.
A mezz’ora da te – Single by Thosiv, Fosc4 | Spotify
Il mood del brano appare cupo e nostalgico. Il riff di chitarra iniziale dà il la ad una sottospecie di viaggio che prende sfumature pop-punk moderne, mixato ad un genere emo contemporaneo che, probabilmente, potrebbe non piacere a molti. La canzone, come racconta Andrea, narra di una relazione tossica che viene rappresentata in maniera poetica. Difatti afferma che «quando l’ho scritta, l’obiettivo era creare quella che è la ‘malinconia a seguito di una relazione’; insomma, chi può soffrire per te più di me che ti ho appena persa. Il mio intento era quello di rappresentare un rimugino su quello che abbiamo passato, perché i segni di quello che siamo stati non resteranno mai sulla nostra pelle, ma nei nostri ricordi». Sicuramente questa è una narrazione dove in molti si possono immedesimare. Abbiamo tutti vissuto situazioni amorose tossiche, e non esiste età che scampi da questa sofferenza. Trovo interessante il fatto che Fosc4 abbia dedicato il testo a più persone, senza focalizzarsi su un soggetto in particolare. Ci riferisce che «è come se avessi fatto un resoconto finale; è un ‘globale’ di relazioni finite e di esperienze che sono successe».
Quello che mi ha stupita, e quello che mi stupirà sempre dei giovani d’oggi, è che si rivelano particolarmente maturi rispetto alla loro età. Noi millenials a vent’anni non avevamo gli stessi mezzi di comunicazione di cui dispongono i ragazzi nel 2023, e sicuramente eravamo delle teste calde. Era difficile essere un artista emergente e farsi strada nel mondo musicale; noi avevamo i centri sociali e generalmente si tendeva ad appoggiarsi ad altre realtà che davano la possibilità di esprimerti e di far sentire la tua voce. Insomma, nel mondo dei social network non esiste giovane che voglia farsi da parte. Ero molto curiosa del perché dei giovani musicisti decidessero di non appoggiarsi a discografie indipendenti e la risposta non mi ha stupita: «Noi giovani ci fidiamo di altri giovani. Siamo costantemente giudicati dai più grandi e quindi, di conseguenza, dobbiamo farci forza a vicenda. Ora che abbiamo la possibilità di fare musica da soli preferiamo farlo, appunto, da soli. Cerchiamo sempre di ottimizzarci al meglio.»
Sicuramente, quando ascolterete A mezz’ora da te, ne rimarrete un po’ perplessi. Come detto prima, è qualcosa che potrebbe non piacere a tutti; si tratta di un prodotto di nicchia che solo alcuni possono apprezzare fino in fondo (e probabilmente non l’apprezzerete perché siete fuori target, come la sottoscritta). Ma, per quanto il brano finale possa sembrare acerbo e contornato da un estremo uso dell’autotune, e per quanto la narrazione del testo possa sembrarvi banale, ciò che vi colpirà è il fatto che non si raggruppa in quell’universo musicale plasticoso nella quale siamo abituati ad immergerci. Si definisce in un qualcosa di estremamente spontaneo; ovviamente, non posso tessere elogi mastodontici data la giovane età dei due artisti, che hanno ancora tutto il tempo di sperimentare nuovi suoni e perfezionarsi nella produzione dei brani, ma non posso discostarmi dall’idea che esiste ancora della sensibilità genuina a questo mondo. Sensibilità che aiuta a non sentirti più perso, ma piuttosto a ritrovarti: in un modo o nell’altro.
Come si diceva durante la conversazione, a Fosc4 piace ascoltare canzoni tristi e gli piace scrivere testi che facciano da colonna sonora nella vita di tutti i giorni. Vi sarà capitato di guardare fuori dal finestrino dell’autobus quando fuori piove e le goccioline di pioggia si adagiano al vetro dello sportello, mentre si fanno trasportare dolcemente dal vento. Vi consiglio l’ascolto del brano facendovi trascinare da questo mood. In fondo, a chi non piace affogare nella nostalgia, di tanto in tanto?