A tutti sarà capitato di vederla almeno una volta, la dicitura “Parental Advisory”. Di solito si presenta su un’etichetta bianca e nera apposta sugli album fisici, serve a contrassegnare che all’interno dell’opera siano presenti contenuti espliciti (riguardanti linguaggio scurrile e tematiche quali droga, sesso e violenza). Non è, però, sempre stato così nell’industria discografica: da dove arriva questo contrassegno?
Nel 1984 Prince rilascia Purple Rain, disco che ottiene un successo di pubblico enorme (vende 13 milioni di copie solo negli Stati Uniti). Tra le canzoni presenti nell’album c’è anche Darling Nikki, presa di mira da Tipper Gore (moglie dell’allora senatore Al Gore) per il suo testo dall’esplicito contenuto sessuale; la donna, infatti, aveva sorpreso sua figlia di 11 anni canticchiare distrattamente la canzone. Per questa ragione, la Gore, insieme ad altre mogli di politici e imprenditori, ha costituito nel 1985 un’associazione, la Parents Music Resource Center, cercando di richiamare l’attenzione sul problema. Il gruppo stilò una lista di 15 canzoni, le cosiddette “filthy fifteen”, considerate inopportune, a riprova del deterioramento da loro riscontrato nei testi musicali di quegli anni: oltre a Prince, vennero inclusi anche Madonna, i Black Sabbath e gli AC/DC. In risposta alla lista, la Recording Industry Association of America (RIAA) introdusse una prima versione del contrassegno.
Fu così che, dopo alcuni anni di discussioni sul tema, nel 1990 la RIAA creò quella che, dopo alcune modifiche apportate nel corso degli anni, sarebbe diventata l’etichetta che tutti conosciamo. Il problema fu che, in alcuni casi, i rivenditori si rifiutarono di esporre sui propri scaffali prodotti con quel contrassegno; per questo motivo si iniziò a richiedere alle case discografiche di pubblicare anche una versione “pulita” dello stesso disco, al fine di permettere una più ampia possibilità di vendita (spesso andando ad intaccare, in questo modo, l’espressività dell’artista).
Partita dall’America, la proposta si è poi espansa all’industria discografica mondiale, non senza le proteste di alcuni artisti quali Frank Zappa, Guns n’ Roses e Green Day.
Giulia Gallo