Ma sarà all’altezza di intercettare questa crescita spontanea e vertiginosa?
Negli ultimi tre anni, secondo quando riportato da Spotify, in Italia il consumo di musica rap sulla piattaforma streaming è cresciuto del 40%, un aumento di otto volte superiore rispetto a quello globale (+5%).
Nel 2017 la percentuale di tracce rap ascoltate sul totale di quelle riprodotte in Italia era del 25,6%, una quota cresciuta fino al 35,9% nei primi mesi del 2020. Se si considera lo stesso intervallo temporale, la crescita è stata molto più contenuta nel resto del mondo, dove si è passati dal 22,9% al 24,1%. L’Italia dunque, come tutti i neofiti, ha un interesse che oggi supera addirittura quello di altre nazioni, più abituate a convivere con il genere rap e soprattutto a riconoscergli la dignità e l’importanza che merita.
La crescita esponenziale del numero di artisti legati al genere e la crescita qualitativa del prodotto medio è una tendenza che in Italia si ha almeno dal 2015. È supportata, in un circolo virtuoso, da una crescita di attenzione da parte del pubblico – composto soprattutto da giovanissimi – molto spontanea e genuina, che ha permesso di ottenere i risultati di cui sopra, nonostante l’ostinata incomprensione del fenomeno da parte di molte radio e altri media.
A fianco di YouTube prima e di TikTok oggi, Spotify è una di quelle piattaforme che ha giocato un ruolo importante nel creare le possibilità per questo pubblico appassionato, curioso ed affamato, di scoprire ed affezionarsi a diversi di questi artisti che solo tramite questo iniziale capitale di ascolti riescono a farsi notare da major e radio.
Il ruolo che Spotify ha giocato nell’incremento del consumo di musica rap passa in gran parte dalla Playlist Rap Italiano: Battle Royale. I suoi 571.000 follower sono un’incontrovertibile prova del suo gradimento da parte degli ascoltatori italiani e della sua influenza sulle statistiche che stiamo commentando.
Spotify non poltrisce sugli allori, raccoglie la sfida e alza il tiro: annuncia il goodbye a Battle Royale e il welcome in a Plus Ultra. Re-naming dunque per la playlist in questione, e re-branding che speriamo non si fermi al cambio dell’estetica della playlist: questi dati così incoraggianti dovrebbero convincere chiunque che in questo campo sia il momento di osare. E la playlist Battle Royale aveva in effetti alcuni limiti.
Poco spazio per le hit del passato e, per le hit del presente, scelta che troppo spesso ha coinvolto gli stessi nomi, di artisti con già una notorietà e una major alle spalle. Scelte che quindi fanno legittimamente pensare a meccanismi di sponsorizzazione – che di meritocratico o genuino hanno ben poco.
I tempi sono maturi. Spotify dev’essere audace: scegliere l’emergente, scegliere nell’album mainstream la canzone che magari è meno di impatto ma ha maggior valore artistico. Altrimenti – e nessuno se lo augura – Plus Ultra potrebbe essere niente più che un’occasione sprecata.