Veniamo da un’edizione degli Academy Awards caratterizzata dall’esplosione del fenomeno Parasite di Bong Joon-oh. Portati a casa i premi per migliore regia, sceneggiatura originale, film internazionale e film in assoluto, la pellicola rappresenta un punto di arrivo per l’industria cinematografica coreana. In essa, Seul trova finalmente il film esportabile, quello che annulla la distanza tra Asia e occidente e che apre a una nuova fase di espansione del mercato cui appartiene. Sebbene infatti negli ultimi vent’anni il cinema coreano abbia vissuto una crescita smisurata, i risultati di pubblico in campo internazionale hanno a lungo stentato ad arrivare. Registi come Kim Ki-duk, Lee Chang-dong o lo stesso Bong Joon-oh fino a poco tempo fa sono rimasti vittima del pregiudizio tutto occidentale per cui l’oriente sfornerebbe solo film intellettualmente ostici. Emblematico, a tal proposito, è il caso di Old Boy (QUI il trailer).
“Vivo solo in una prigione più grande”
Riconosciuto come il capolavoro di Park Chan-wook, Old Boy è stato probabilmente il film coreano più famoso al di fuori dei patri confini prima di Parasite. Tanto famoso che Spike Lee decise qualche anno fa di trarne un remake (QUI il trailer), “ripulendolo” e a suo modo di vedere rendendolo “digeribile” anche per noi occidentali. Neanche a dirlo, l’operazione fu disastrosa. Il regista americano travisò tutto ciò che di bello e potente la fonte originale aveva, alimentando ulteriormente così il pregiudizio, fortunatamente sfatato da Parasite, di un cinema coreano internazionalmente invendibile.
Ma di cosa parla Old Boy? Tranquilli, vi raccontiamo la trama senza alcuno spoiler. Old Boy è la drammatica storia di Dae-su, uomo come tanti, che da un giorno all’altro ignorandone il motivo viene imprigionato. La sua cattività durerà per quindici anni, durante i quali assiste al disfacimento della sua famiglia e cova vendetta. Quando viene rilasciato, comincia la ricerca del suo carnefice, incontra sulla sua strada la bella Mi-do e si avvicina a grandi passi verso l’orrore più grande: la verità. Old Boy parla di vendetta, ma lo fa partendo dall’assunto che nessun castigo inflitto possa davvero rimediare al passato. Il motore di trama non è infatti la furia cieca, ma una domanda: “perché?”
“Sebbene io sappia di essere peggio di una bestia, non crede che abbia anch’io il diritto di vivere?”
Il film è caratterizzato da una messa in scena virtuosa e vulcanica che non sfocia mai nell’esercizio di stile. Ogni sequenza è visivamente ricca e appagante, ma la varietà delle soluzioni adottate non distrae mai dal senso profondo di ciò che vediamo, anzi lo sottolinea. Prendiamo per esempio i primi minuti nel commissariato: vediamo Dae-su attraverso gli occhi di un poliziotto, in prima persona. Questa scelta è vincente, perché ci immedesima nell’ufficiale e potenzia la nostra prima, sgradevole percezione del protagonista. Cominciamo così immediatamente a costruire uno degli assunti del film: “Sebbene io sappia di essere peggio di una bestia, non crede che abbia anch’io il diritto di vivere?”.
O ancora, uno dei momenti chiave: un furtivo inseguimento. Qui un montaggio serrato mescola eventi passati e presenti, comprimendoli in un’unica sequenza di rivelazione che unisce il senso delle due linee temporali dopo lunghe ricerche. Oppure, infine, la scena più famosa, quella “del corridoio”: un piano-sequenza di tre minuti di lotta ininterrotta. Girata attraverso un unico carrello orizzontale, è una scena durante la quale gli attori, eseguendo la coreografia dello scontro, finiscono per stancarsi sul serio. Ogni loro azione col passare dei secondi perde slancio e si fa pesantissima, vera, e la sequenza, nella sua apparente irriproducibilità, diventa invece credibile.
“Ridi, e il mondo riderà con te. Piangi, e piangerai da solo”
Insomma, stiamo parlando di un film tecnicamente impeccabile. Oltre poi alle prove attoriali da capogiro e alle grandi scelte nell’ambito della scenografia e dei costumi una menzione particolare va alla colonna sonora di Jo Yeong-wook. L’alternanza di musica classica (un movimento dell’Inverno di Vivaldi), archi, percussioni elettroniche e momenti di vera e propria citazione morriconiana contribuisce a rendere solenne un film che è tante cose allo stesso tempo.
Old Boy è un miracolo di equilibrismo. Brutale e disturbante negli attimi di violenza, ma lirico e misurato quando un personaggio si guarda indietro. Allo stesso tempo poi, è una commedia nerissima che ha il coraggio prima di sfociare nel melodramma, e poi di deflagrare nella tragedia greca. Gli uomini che conosciamo, Dae-su e il suo aguzzino, sono pronti a tutto per annientarsi l’un l’altro. Si spogliano di ogni residua umanità per poter scarnificare la propria nemesi e anèlano la vendetta. Ma la redenzione è un’aspirazione che non è loro concessa. Se a Dae-su ci affezioniamo perché è la nostra controparte nel film, quello che scopre la verità poco a poco, il suo nemico è uno dei villain più memorabili che mai vedrete in un film.
Ma forse conviene davvero non andare oltre. Old Boy vuole farsi disvelare con il suo ritmo, e non saremo di certo noi a rovinarvi l’esperienza della visione. Se Parasite è un’affermazione definitiva di consapevolezza del cinema coreano, Old Boy è stato il miracolo inaspettato. Vi metterà alla prova, arriverà a farvi provare dolore, alla fine per colpa sua sarete esausti, ma sarà un’esperienza che porterete con voi volentieri, alta e catartica.
Nicola Carmignani