L’attitudine da mostrare quando si ha davanti un film di questa portata, è quella degli insaziabili di Bertolucci; e con insaziabili si vuole fare riferimento a quei sognatori, malati di cinema, che per capire meglio il messaggio nascosto del film, sono soliti sedersi molto vicino allo schermo, quasi incollati, in modo da ricevere le immagini quando sono ancora nuove, ancora fresche. Il titolo, mantenuto (per fortuna) in originale anche in italiano, oltre a rivelare il luogo in cui avverrà la narrazione col termine island (isola), usa il termine shutter il riferimento a qualcosa di sbarrato, occultato. E quel qualcosa di occultato è una verità che verrà portata alla luce solo alla fine del film. Anche se, in fondo, Shutter Island una fine vera non ce l’ha.
“Meglio vivere da mostro o morire da persone per bene?”
Una semplice domanda che dá senso all’intero film e su cui ci si sofferma, rimanendo con tanti, troppi, dubbi.
L’iconica coppia Scorsese/ DiCaprio, che nell’immaginario collettivo ha quasi raggiunto la stessa chimica di Bonnie e Clyde, torna all’attacco con una pietra miliare della cinematografia, forse tra i migliori thriller psicologici per trama e intreccio. Il film, ispirato al romanzo L’isola della paura di Dennis Lehane, esce nel 2010 con un cast d’eccezione: Leonardo DiCaprio, Mark Ruffalo, Ben Kingsley, Michelle Williams, Emily Mortimer e Max von Sydow. Shutter Island narra la storia di Edward, o meglio Teddy Daniels, un agente del FBI a cui è stato assegnato il misterioso caso di Rachel Solano, una paziente scomparsa dal manicomio criminale di Ashecliff Hospital, in cui era ricoverata dopo aver affogato e ucciso i suoi tre figli. Teddy è accompagnato da Chuck Aule, altro agente federale e sua spalla. Durante le indagini, le storie del detective si intrecciano con quelle dei detenuti ed appaiono flashback costanti che cominciano a sfumare l’immagine ben definita di Teddy. Si scopre che, in quanto membro dell’esercito statunitense, ha partecipato alla liberazione degli ebrei nel campo di Dachau (fatto realmente accaduto il 29 aprile 1945), e fucilato le guardie naziste. Si scopre che tutta questa violenza in guerra, lo ha portato a soffrire di alcolismo. Si scopre che la moglie è apparentemente morta in un incendio appiccato da un piromane di nome Andrew Laeddis, trasferito ad Ashecliff e scomparso nel nulla. Si scopre che sull’isola vengono fatti esperimenti sugli stessi pazienti che soffrono di disturbi mentali.
Una trama ben costruita e pieni di colpi di scena insomma. Ecco, dimenticatela.
Tutto questo non è altro che un teatrino messo su dai medici del manicomio seguendo e assecondando le fantasie di Edward Teddy Daniels, anagramma di Andrew Laeddis che è la sua vera identità. È lui il paziente numero 67, colpevole dell’assassinio della moglie Dolores Chanal, che ha annegato i tre figli nel lago di casa. Eppure, nel mondo di Andrew, era lui l’eroe, l’agente del FBI che lotta perché giustizia sia fatta.
La minuzia con cui il protagonista si dedica al caso rende difficile accettare la sua insanità mentale. Andrew è un uomo di violenza e non violento, come lo stesso dottore sostiene riferendosi a lui; un uomo che ha visto con i suoi occhi lo strazio, la morte, il dolore, le ingiustizie e che non si ferma dinanzi a essi. Ancora una volta però, la violenza genera violenza e lascia tracce all’interno della sua quotidianità; i suoi ricordi si mescolano con le sue fantasie, i sogni con le sue reali allucinazioni. E sospesa tra realtà e apparenza è la scena con la moglie Dolores, interpretata da una toccante Michelle Williams; in un appartamento sommerso da una pioggia di cenere che consuma tutto, si dissolve anche il corpo dell’amata, che scompare dalle sue braccia come cenere all’aria.
In quanto paziente in cura, Teddy/Andrew diventa il protagonista per eccellenza di un gioco di ruoli in cui tutti sono coinvolti. È lui la cavia dell’esperimento, un povero topo intrappolato in un labirinto costruitogli su misura.
A questo punto, un dubbio assale la mente dello spettatore: chi è il vero pazzo? Colui che dice il falso a una persona con problemi mentali o quello che, chiamato pazzo, fa il possibile per urlare la verità? Domanda retorica dato che i pazzi sono i soggetti perfetti a cui attribuire menzogne: parlano ma nessuno li ascolta.
Secondarie, ma non per bravura sono le interpretazioni di Ben Kingsley nella parte del dottore primario, e Mark Ruffalo, il quale ha ottenuto il ruolo nel film dopo aver mandato a Scorsese una lettera nella quale diceva quanto gli sarebbe piaciuto lavorare con lui. Shutter Island è l’unica collaborazione tra Scorsese e DiCaprio a non aver ricevuto un Oscar, oltre ad essere l’ultimo film del regista girato interamente su pellicola. Incassó 40.2 milioni di dollari al botteghino, un record battuto solo da The Wolf of Wall Street nel 2013.
Ben oltre la celebre Isola Che Non C’è, l’isola del mistero di Scorsese oscilla tra ciò che è giusto e sbagliato, tra il vero e il falso, tra sano e folle, senza mai fermarsi. Alla fine, Andrew lascia il pubblico con un dubbio enorme, creando un enigma che solo lui può risolvere. Lo spettatore non saprà mai se il protagonista sia consapevole delle sue azioni o se sia ancora preda della sua follia. È per questo che non c’è nessun finale. Le uniche cose che restano sono lo sguardo attonito dello spettatore e le domande rimaste irrisolte che si ripetono nella mente. Un effetto naturale per chi si impegna a mettere a fuoco l’intero film. Se questo era l’effetto shutter che Scorsese voleva creare, c’è riuscito alla perfezione.
Miriam Russo