Martedì 12 Novembre ha avuto inizio l’evento che ha portato respiro italiano nelle sale berlinesi, regalando un punto d’incontro tra cinema nostrano e pubblico tedesco. Sono Samuele e, vivendo a Berlino, per me è stato impossibile assentarmi dall’Italian Film Festival Berlin 2024, che ha provato a partire alla grande con Neri Marcorè.
La location scelta è incredibile, il Kino in der Kulturbrauerei, un cinema incastonato dentro una piccola perla che sembra portarci fuori da Berlino. Gli edifici in mattoni chiudono una piazzetta di ciottoli dove non si sente il via vai di macchine e ogni luogo d’interesse dà un apporto culturale alla città.
Neri Marcorè
Arrivo al cinema e vengo accolto dai flash delle camere, ma non sono per me: Neri Marcorè scende da un’auto e si appresta a varcare la soglia del Kino (cinema in tedesco). Abbiamo trovato anche l’occasione di fargli una piccola intervista. Marcorè racconta del suo rapporto con Berlino, racchiudendo bei ricordi che hanno un che di ancestrale, come se la vita a Berlino fosse cosa nota a ogni persona già dalla nascita.
I giri in bici per il Tiergarten, l’incredibile bravura col tedesco, che sfoggia proprio all’ingresso in sala di fronte al pubblico presente. L’atmosfera è scintillante, la sala piena di persone fervidamente in attesa di visionare il film. Guardandosi un po’ intorno si notano visi italiani e tedeschi: un sospiro di sollievo per un festival che puntava tanto su questo incontro.
Zamora
Con pochissime anticipazioni, inizia Zamora, la prima alla regia per Marcorè, che è anche attore nel film. Una storia ambientata in maniera strabiliante negli anni ‘60, che fonde calcio, lavoro e tenta di andare in profondità nei personaggi. Neri Marcorè interpreta un ex calciatore fallito e alcolizzato, ed è forse la presenza più lieta sullo schermo. Tutto il resto, però, rientra nella sfera dei tentativi. Una sceneggiatura scritta a otto mani, annesse le due di Marcorè, ma che stupisce in negativo per quanto riguarda dialoghi e vicende. Un guizzo finale con qualche risata in più e un colpo di reni dei personaggi, ma complessivamente delude profondamente. Inizia a farsi strada nella mia testa un’idea.
Mentre sullo schermo cercano di incidere alcune battute iper-telefonate, il pubblico in sala si sbellica dalle risate. Sul senso comico tra le poltrone del festival ci torneremo più avanti, ma per ora bisogna lasciare il cinema con l’idea che Zamora sia stata una falsa partenza, sperando che le giornate successive possano mostrare un miglioramento.
Il mio posto è qui
La seconda serata è quella in cui, finalmente, varcando le soglie del cinema ci si sente a casa, conoscendo già i volti che lo frequentano. Daniela Porto e Cristiano Bortone trovano il loro punto d’incontro con la città che abitano da tempo e il pubblico berlinese sembra apprezzare la loro opera. Il mio posto è qui ci riporta agli anni ‘40 e offre uno sguardo sulla vita della donna del tempo profondamente femminile e coerente. Il film è infatti una riproposizione del romanzo di Daniela Porto, che ha affiancato il marito alla regia proprio perché fosse mantenuto lo sguardo femminile essenziale per l’opera stessa. In una Calabria distante da quella attuale, gli sviluppi stretti e circoscritti di un paesino stupiscono. I due grandi volti protagonisti, Marco Leonardi e Ludovica Martino, catturano pienamente l’attenzione con interpretazioni strabilianti, certo anche complici gli ottimi dialoghi che le accompagnano.
Daniela Porto e Cristiano Bortone
I co-registi si fondono in un duo che diventa un’entità unica, nella forza con cui il loro messaggio viene condiviso. La regia è solida, precisa. C’è grande intensità sui visi, per evidenziare le performance che effettivamente svettano al termine della pellicola. E la complicità alla regia viene rispecchiata nel rispondere alle domande. Con grande disponibilità, Daniela e Cristiano raccontano le esperienze vissute in relazione a Il mio posto è qui.
In un’altra occasione incontro Cristiano Bortone allo stand accrediti e ho la fortuna di farci due chiacchiere. Mi spiega l’importanza di dare un buon voto al loro film, in quella che è la premiazione interna del festival stesso. Questo perché Il mio posto è qui è l’unico tra i film presenti a non avere una distribuzione in Germania. Il festival dimostra anche l’importanza per chi sta dal lato opposto agli spettatori.
Il resto del festival
Nell’atmosfera di fermento culturale di Berlino, l’Italia si è ritagliata il suo spazio e tanti sono accorsi per assistervi. Non finisce qui la narrazione del festival berlinese. Prossimamente vi racconteremo le altre serate e la nostra esperienza tra le poltrone. Felicità di Micaela Ramazzotti e Cento Domeniche di Antonio Albanese hanno catturato particolarmente la nostra attenzione, chi in negativo e chi in positivo.
Samuele Muresu