Anora: una piccola perla del filone romantico-sentimentale

E insomma,’sta Anora? Ma non saranno troppi cinque Oscar? Forse. Ma dopo i premi c’è la vita vera, che per fortuna non si riduce a quanti riconoscimenti uno ottiene dagli altri. 

Dunque bando alle ciance da Academy Awards e parliamo di Anora, immergiamoci nel suo mondo.

Il mondo di Ani

Ma qual è questo suo mondo? Anora (interpretata da una calamitante Mikey Madison, Oscar alla miglior attrice protagonista)  – detta Ani, come dichiara nella prima parte del film, dicendo che preferisce essere chiamata così – ha ventitré anni e fa la danzatrice erotica in un night club di Brighton Beach, New York. Sul luogo di lavoro, Ani è apprezzata: i clienti sono soddisfatti, c’è complicità con le colleghe e i capi, lei stessa sembra godere di una buona libertà decisionale e di un carattere forte.

Una sera, al locale, un cliente richiede una ragazza che sappia parlare russo e Ani, di origine russa, si fa avanti e incontra così il giovane Ivan (lo strepitoso Mark Ėjdel’štejn, un Timothée Chalamet russo in erba), un ventunenne ricco e spensierato, perennemente felice e dedito al divertimento. Ivan si invaghisce di Ani e non esita a coinvolgerla nella sua vita fatta di lusso e baldoria. La invita prima a passare una settimana con lui e i suoi amici in qualità di “fidanzata a pagamento” e poi, al termine dei sette giorni, le propone di sposarlo.

Qualcuno ha detto Pretty Woman?

Fin qui vi ricorda qualcosa? Come non pensare al grande classico degli anni ’90 Pretty Woman, in cui la Cenerentola metropolitana di strada, interpretata da una sorridentissima Julia Roberts, veniva salvata dall’avvenente Principe Azzurro, un investitore quarantenne ricco ed elegante, impersonato dal sex symbol di quegli anni Richard Gere?

Ebbene, nulla di più diverso. Ivan, per gli amici Vanya, è un ragazzetto ricco, figlio di un magnate russo, col sorriso stampato in faccia e intento a condurre una vita godereccia, tra alcol, droga, feste e play. Apparentemente la sua unica preoccupazione è quella di non privarsi di nessuno sfizio e ci tiene a non farne mancare nessuno neanche ad Ani. Lei, da par sua, non crede ai propri occhi: da un lato, cerca di godersi al massimo la vita privilegiata che Vanya le offre, consapevole che un’occasione del genere non capita spesso; dall’altra, pare sinceramente presa da quel ragazzo, a volte ingenuo e superficiale, che però sembra genuinamente interessato a lei.

Il sogno sfavillante e la commedia rocambolesca

E così, Ani accetta la proposta di matrimonio e via a sposarsi in una cappella di Las Vegas. In sottofondo parte Greatest Day dei Take That (nella versione del 2023, con Robin Schulz e Calum Scott) e, come un sogno, inizia la nuova vita coniugale dei due, sfavillante e luccicosa.

Dopo alcuni giorni idilliaci, la realtà bussa alla porta di casa nelle vesti degli uomini del padre di Vanya: i suoi genitori, furenti in seguito alla notizia del matrimonio del figlio con una sex worker, hanno mandato i loro scagnozzi a costringerlo a divorziare, in attesa che loro stessi arrivino per riportarlo in Russia. Vanya oppone resistenza, ma poi, davanti alla minaccia parentale, mostra tutta la sua immaturità e se la dà a gambe, piantando in asso Ani.

Lei è scioccata, protesta e si ribella contro quegli estranei che le sono entrati in casa ma, dopo alcune scene esilaranti di scontro tra la ragazza e gli  uomini, si arrende all’evidenza: per risolvere quella situazione, l’unico modo è trovare Ivan. 

Comincia allora la parte più  spiccatamente comica del film con la rocambolesca ricerca di Vanya da parte dell’improbabile quartetto composto da Anora, i due fratelli  armeni Toros e Garnik, imbranati e buffi, e il bodyguard Igor, tanto massiccio e forzuto quanto discreto e gentile (interpretato da Jura Borisov, già noto per l’acclamato film sentimentale Scompartimento n. 6).

Da qui spoiler…

Quando finalmente si ritrova Ivan, questi è ubriaco e sotto effetto di droghe; Anora è esasperata e vorrebbe parlare con suo marito, che però non è nelle condizioni. Con l’arrivo dei genitori, il ragazzo si riprende e svela la sua natura infantile: detesta sua madre e suo padre, ma ne è succube anche perché è immaturo e incapace di assumersi qualsiasi responsabilità. Il matrimonio con Ani è stata una bravata, divertente e piacevole, ma non ha dubbi sul fatto che deve finire. Anora ne rimane ferita e si rende conto d’essere stata solo un giocattolo nelle mani di un ragazzino viziato che l’ha usata per infastidire i genitori. 

Dopo il divorzio, Anora è accompagnata a casa da Igor, che lei impara a conoscere meglio. Igor è gentile e attento nei suoi confronti, nonostante la ragazza si mostri ancora diffidente. Proprio davanti alla casa, al momento dei saluti, dopo l’ultima premura del giovane, Anora, forse sentendosi in  debito, lo approccia sessualmente ma Igor, pur non respingendola, le fa capire che non è questo che vuole e, piuttosto, prova a baciarla. Anora però si blocca e crolla quindi in un pianto liberatorio, mentre Igor la consola tra le sue braccia.

Partiamo dal finale: un’agnitio che viene dall’interno

Sean Baker, il regista di Anora, ritirando una delle statuette che si è aggiudicato alla 97esima notte degli Oscar, ha detto: «Guardare un film al cinema con il pubblico è un’esperienza: possiamo ridere insieme, piangere insieme, urlare insieme, forse anche sedere in silenzio, devastati, insieme; e in un tempo in cui il mondo è diviso, questo è più importante che mai. È semplicemente un’esperienza collettiva che non si può avere a casa.»

Vedere Anora in sala regala esattamente un’esperienza collettiva: il pubblico sogna con Anora durante le scene del matrimonio, quando sembra iniziare una vita dorata; ride di fronte all’assurda ricerca di Vanya da parte dei quattro; rimane in silenzio, spiazzato e sbigottito, davanti a quel finale così intenso e inaspettato.

Il finale è un finale aperto in cui non succede niente sul piano dell’azione, non c’è un vero colpo di scena a capovolgere la storia, eppure il film si chiude lasciando il pubblico senza parole, dopo averlo fatto ridere per tutta l’ora e mezza precedente.

Che significa quel finale? Perché ci colpisce così tanto? 

Nel teatro classico si chiama agnitio (“agnizione”) quello scioglimento della trama in cui il protagonista scopre la vera identità sua o altrui: di solito un altro personaggio, un oggetto imprevisto o un altro elemento svelano la verità. Nel caso di Anora, la sua agnitio non arriva dall’esterno, ma procede dall’interno: alla fine del film, la nostra protagonista non scopre niente, ma si scopre, getta la maschera e si schiude, svelando la sua solitudine e la sua profonda infelicità. Anora mette a nudo la sua fragilità, una frattura interiore che forse ora potrà essere sanata.

Forse, perché il film di Sean Baker ci lascia con domande e dubbi, piuttosto che con facili certezze.

Anora & co: la costruzione dei personaggi

Uno degli aspetti più interessanti di questo piccolo film indipendente è la costruzione dei personaggi.

Anora è una ragazza forte, libera e determinata, sa quello che vuole e sa come difendersi. Lavora con il suo corpo nell’ambito dell’eros, esponente di quella comunità di sex worker che il regista Baker aveva esplorato già in altri suoi film, a partire da Starlet (2012) e Tangerine (2015). Anora è in pace con il suo corpo e le sue scelte, mantiene sempre la  sua dignità e il suo orgoglio e crede nel matrimonio, perché crede nei sentimenti, più di Ivan e della sua famiglia marcia.

Ivan è un ragazzino ricco e viziato che, per sua stessa ammissione, è «sempre felice» perché semplicemente è abituato a comprarsi qualunque cosa voglia, almeno finché mamma e papà, una coppia incurante del loro unigenito se non quando minaccia l’onorabilità della famiglia, non s’arrabbiano. Ivan incarna così un modello maschile non solo infantile e immaturo, ma anche fallacemente convinto di essere superiore rispetto a tutto e tutti grazie alle sue immense disponibilità finanziarie.

La critica a un modello sociale di ricchezza vuota, apparenze e pochezza umana non potrebbe essere più evidente.

Al lato opposto c’è Igor, un bodyguard abituato a stare in silenzio e in disparte, forte, ma soprattutto capace di misurare la sua forza; è rispettoso e premuroso, consapevole che i gesti valgono più di parole e promesse vuote. 

Igor rappresenta un modello maschile diverso, alternativo a quello di Ivan, è capace di incassare e sopportare e sa donare amore e rispetto. 

In modo forse un po’ didascalico, ma molto dolce, il personaggio di Igor dice ad Anora che gli piace il suo nome vero, lo preferisce ad Ani.

I due instaurano un rapporto inizialmente conflittuale, poi complice e flirtante. Quando il film si chiude, rimangono solo loro e si avverte tutta la sconfitta di Anora, anche la fotografia si fa fredda e la scena in auto è scarna ed essenziale: è come se l’illusione favolistica si spezzasse per fare spazio a una realtà più dura, ma anche più autentica.

Tiriamo le somme: non un film rivoluzionario, ma una bella chicca

Con quest’ultima cruda pennellata, Sean Baker ci consegna un film magari, certamente, non rivoluzionario, ma che è una bella chicca, in grado di apportare degli elementi originali al filone romantico-sentimentale, apprezzabili soprattutto, ma non solo, da chi è fan del genere. 

La storia, i personaggi e i loro attori, le atmosfere della comunità russa newyorchese e la produzione casereccia di  Baker (che, nomen omen, come un fornaio che prepara da sé pane e vari lievitati, ha fatto tutto da solo: prodotto, scritto, diretto e montato  il film; in tutto quattro Oscar per il suo lavoro artigianale) rendono Anora un film particolare, una piccola perla che fa vivere la magia del cinema di regalare emozioni.

Emanuela Macci