Geograficamente ai confini, storicamente divisa tra Est e Ovest, cronologicamente tra gli ultimi Paesi a entrare nella famiglia europea dell’Unione, la Romania ha dato prova di sapersi ben difendere dalla propaganda e dalla disinformazione usando al meglio la potente arma democratica del voto. Mentre l’Europa sceglie con quale tonalità di nero vestirsi, i rumeni tirano fuori dal guardaroba uno sgargiante completo colorato e illuminano la strada per difendersi dall’estremismo e dalla paura: paura della guerra, paura del diverso e degli stranieri, paura della povertà.
Tra novembre e dicembre dello scorso anno si sono tenute in Romania due importanti settimane elettorali che hanno chiamato al voto i rumeni di ogni parte del mondo per scegliere il nuovo Parlamento e il nuovo Presidente della Repubblica. La Romania è una repubblica semipresidenziale che elegge, infatti, in maniera diretta il presidente, il quale partecipa attivamente all’amministrazione dello stato: tra i suoi compiti c’è anche quello di nominare i nuovi dirigenti dei servizi di intelligence nazionale in uno dei paesi più esposti, per motivi sia storici che geografici, alla minaccia russa. Dettaglio non da poco, visti i recenti conflitti alle porte dell’Europa e una Russia sempre più decisa a soffocare del tutto ogni spiraglio democratico che si insinui nella società.
Proprio le ingerenze russe nella campagna elettorale per le elezioni presidenziali hanno spinto la Corte Costituzionale rumena ad annullare il risultato della prima tornata di voto e a chiedere di ripetere per intero l’intero processo elettorale una volta insediatosi un nuovo governo e un nuovo parlamento. Lo spregiudicato uso del social TikTok nella campagna elettorale presidenziale, inoltre, ha costretto l’apertura di numerose indagini interne e ha spinto anche alcuni europarlamentari a chiedere al CEO della piattaforma social di presentarsi in plenaria per dare delucidazioni sulle regole di engagement del social e sul loro rispetto nel caso rumeno.
Il candidato meno quotato, indipendente e quasi sconosciuto, tra i più estremisti nel panorama rumeno, Calin Georgescu ha vinto il primo turno elettorale a sorpresa, dichiarando di non avere speso un euro per la sua campagna al voto: a favorirlo, infatti, gli algoritmi di TikTok, che gli hanno permesso di ottenere una visibilità sproporzionata rispetto agli altri candidati. Secondo le autorità che hanno indagato, TikTok non ha identificato Georgescu come candidato e non ha perciò richiesto l’obbligatoria registrazione dei suoi contenuti politici; inoltre, sono stati scoperti più di 25 mila account falsi e oltre 130 influenter pagati per diffondere l’hashtag #echilibriusiverticalitate, motto della campagna di Georgescu chiaramente ispirato a quello messo in circolo dalla Federazione Russa qualche mese prima dell’invasione dell’Ucraina.
Nonostante il complicarsi della situazione, la custodia cautelare richiesta per Georgescu accusato di destabilizzare l’ordine democratico e le proteste a Bucarest in suo sostegno, il crescente senso di rabbia covato dalla società rumena, soprattutto dei rumeni all’estero, è stato sfruttato dal leader del partito di estrema destra AUR, George Simion, che ha ricalcato interamente gli slogan e il programma elettorale di Georgescu, promettendo di nominarlo Primo Ministro in caso di vittoria.
La vittoria di Simion era quasi data per scontata, vista l’alta percentuale di voti ricevuta al primo turno delle nuove elezioni di maggio 2025 e la debolezza politica dell’altro candidato finito al ballottaggio, Nicusor Dan, sindaco di Bucarest, ufficialmente non sostenuto da nessuno dei partiti tradizionali nè dagli altri leader sconfitti e usciti dalla corsa presidenziale.
Nicusor Dan si era presentato anche lui come candidato indipendente ma con forti convinzioni europeiste, a differenza di quelle di Simion e di Georgescu: il motto della campagna di Dan era infatti “Romania Onesta” e il suo programma marcava con decisione le sue intenzioni di restare saldamente dentro l’UE, partecipare al programma comune per il riarmo europeo e fare la sua parte per la difesa comune, sostenendo in modo incondizionato l’Ucraina nel conflitto con la Russia, consapevole che il destino della Romania dipende anche da quello dei suoi vicini orientali.
Nicusor Dan ha inoltre smontato con la chiarezza dei numeri le fake news messe in circolo dal suo competitore, che sostenevano non solo che appartenere all’Unione Europea fosse per la Romania inutile e poco vantaggioso, ma anche che la Commissione europea volesse bloccare i fondi europei destinati alla Romania. Notizia poi smentita dalla stessa Commissione con un comunicato stampa.
La Romania è il sesto paese dell’Unione per numero di popolazione e potere di voto all’interno del Consiglio dell’Unione Europea, il consiglio dei ministri dell’UE; con i suoi 33 europarlamentari è la sesta delegazione più grande in PE. Il valore dell’industria rumena in rapporto al PIL nazionale è più alto rispetto a quello delle industrie italiane o spagnole, per esempio, e l’economia rumena è cresciuta di quasi tre volte dopo l’ingresso nell’Unione.
Mentre la Germania, la Francia e l’Olanda sono i Paesi che contribuiscono maggiormente al budget europeo, la Romania è il quarto Paese a beneficiarne maggiormente, dopo Polonia, Grecia e Ungheria. Per ogni euro destinato al budget europeo, la Romania ne riceve indietro tre: dal 2007 a oggi la Romania ha ricevuto dall’UE 95,4 miliardi di euro, a fronte dei 30,3 che ha dato; di questi soldi, 65 miliardi devono ancora essere spesi. Per dare alcuni esempi concreti: l’enorme ospedale regionale di Cluj, finanziato quasi interamente dai fondi UE, costa 688 milioni di euro; il ponte di Braila, il più alto ponte sospeso della Romania, anche questo finanziato da soldi UE, costa 500 milioni di euro.
Anche prima di entrare nell’Unione la Romania ha ricevuto abbandonanti finanziati pre-adesione, da cui ha avuto enormi benefici, ed è importante anche ricordare che a rendere le città portuali del Danubio così evolute e cosmopolite, sempre in rapporto al contesto est-europeo, è stata l’esperienza della Commissione Europea del Danubio, istituzione internazionale attiva in Romania tra il 1856 e il 1948, che curò anche il drenaggio e la regolarizzazione del corso navigabile del fiume.
Ma i soldi ricevuti dall’UE sono comunque amministrati dai politici nazionali: la Romania è all’ultimo posto della classifica europea per qualità di istituzioni e il quarto Paese con il più grande divario economico-sociale tra le sue diverse regioni, con numerose comunità a rischio di povertà assoluta. Fare parte dell’Unione, per la Romania, è garanzia di lotta alla corruzione, rispetto dello stato di diritto e adeguamento a standard europei di condizioni della vita e rispetto delle istituzioni.
È la coscienza di tutto questo che ha spinto in massa la società rumena ad andare a votare contro Simion e contro il suo estremismo, a colmare la differenza di quasi due milioni di voti per cui la vittoria di Dan era considerata alla stregua di un miracolo: il miracolo rumeno.
Resta comunque un’altissima percentuale di votanti e di sostenitori della destra estrema di AUR, soprattutto tra le comunità di rumeni residenti in Italia e in Spagna, e per questo non sarà affatto semplice il lavoro del nuovo presidente, ma il risultato di queste elezioni nutre la speranza che esiste ancora un forte legame tra la società civile, che però non crede più nei partiti, e la vita politica democratica dell’Occidente.
A cura di Giusi Sipala e Georgeta Mungiu