Tempo di respirare, forse
Dopo giorni passati a correre da una parte all’altra per cercare di incrociare dichiarazioni e performance delle grandi star, arriva un momento di riposo. O quasi. Sono stati giorni intensi in cui ho cercato di puntare ai contenuti di spicco della Berlinale, ma il festival ci ricorda che c’è tanto altro, nascosto oltre le più discusse apparizioni delle star.
Il piano del mio quarto giorno di Berlinale inizia dunque con una calma mattinata. È Domenica e mi concedo qualche ora di sonno extra, d’altronde noi italiani siamo tutti stati svegli più tardi del previsto per la Finale di Sanremo. Prenoto come ogni mattina i biglietti per i giorni successivi e mi metto al lavoro per i contenuti da coprire, ma ho già la testa agli eventi di giornata.
L’Urania Berlin, o la mia casa per un giorno
Il destino vuole che le mie uniche due scelte di giornata vengano proiettate entrambe all’Urania Berlin. Non vi so dire con una sola definizione cosa sia l’Urania, se un centro, un’azienda, una sala conferenze. Fatto sta che è più lontano del solito e sarà comunque la mia casa per una giornata.
Forse a chiedermi tutta la mattina cosa sia realmente l’Urania, finisco per dimenticare il badge a casa e così brucio tutto l’anticipo che avevo. Corro, penso a ogni incastro di mezzi pubblici per arrivare in tempo, ma alla fine scopro di essere comunque in leggero anticipo. Arrivato nel posto, mi accorgo di quanto accogliente e grande sia la sala, che si riempie ben presto di persone.
Tutti si lanciano alla ricerca di poltrone vuote, ma è una sfida ardua che costringe le persone a infilarsi in cunicoli stretti tra una fila e l’altra.
The Narrow Road to The Deep North
Comunque, il primo evento che mi porta in sala è The Narrow Road to The Deep North, a cui Jacob Elordi (Euphoria, Priscilla, Saltburn etc.) si presta per il ruolo da protagonista, guidato dalla regia di Justin Kurzel. È una miniserie; ho grande curiosità di assistere alla proiezione in sala.
L’esordio è caratterizzato da una immagine molto buia, che richiede un po’ di sforzo. Col tempo capisco, non appena si scoprono i personaggi e le scene appaiono sempre più illuminate, che è perfettamente coerente con il concetto della serie stessa, la quale affonda le proprie radici nella segreta profondità mentale del protagonista.
È molto difficile fare luce sul passato di un uomo che è stato prigioniero di guerra, ancor di più se proviamo a farlo scoprendone le relazioni sentimentali. Ci sentiamo senz’altro distanti all’inizio, ma a poco a poco la serie inizia a coinvolgere.
Costruzione priva di Climax
Da un punto di vista più generale è difficile capire che direzione prenderà la serie e forse proprio questo mi ha colpito particolarmente della proiezione in sala. Non abbiamo visto tutti gli episodi, ma quello a cui abbiamo assistito è stata una grande build-up, la costruzione priva del climax.
Mancando il punto catartico è difficile capire se, oltre la superficie, c’è qualcosa che davvero valga la pena per dare significato a tutta la serie, che tra l’altro sembra molto basata sul mondo interno del protagonista, dunque ancora più distante da noi. Per ora, quello a cui abbiamo assistito è stato un racconto di guerra diverso, fatto di prigionia e lavori forzati, che ci ha saputo tenere sul pezzo.
L’uscita ufficiale è fissata per i prossimi mesi, a cui deleghiamo il compito di sentenziare sulla qualità della serie nella sua interezza.
“Koki, Ciao” e altri Corti
Il secondo evento, sempre all’Urania, è per me qualcosa di completamente nuovo, a cui mi presento con un certo entusiasmo: si tratta dei Berlinale Shorts, per lo specifico la prima raccolta dei cortometraggi presentati al festival. È un evento ricco, che coinvolge storie da tutto il mondo, che invita sul palco registi, cast, direttori della fotografia. Il pubblico è trainato dalla voglia di scoprire le piccole gemme presentate.
Dopo ogni mini proiezione viene fatto un breve Q&A con gli autori, che se da una parte permette di arricchire il valore dell’opera appena vista, dall’altro alimenta la curiosità per quella che verrà.
I corti hanno saputo toccare una varietà di argomenti e dimensioni narrative, basti pensare all’”autobiografia” (come l’ha definita il regista stesso) “Koki, Ciao”, in cui il pappagallo posseduto da Tito si racconta. Curiosamente, questa occasione mi si presenta come una “ricalibrazione” all’interno della Berlinale stessa, portandomi a prenotare subito per i giorni successivi anche la seconda e la terza raccolta di corti, curioso di ciò che sarà.
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Samuele Muresu