Il 28 settembre 2025 la Moldavia andrà alle urne per rinnovare il Parlamento. Ma non si tratta di un voto ordinario: per molti osservatori internazionali è la consultazione più importante dalla dichiarazione d’indipendenza. La presidente Maia Sandu, che ha fondato il suo mandato sulla prospettiva europea, lo ha definito senza esitazioni “l’elezione più importante della nostra storia”. In gioco non c’è solo la composizione del nuovo Parlamento, ma la direzione geopolitica di un Paese posto sulla linea di frattura tra Bruxelles e Mosca.
Le regole sono semplici sulla carta: un sistema proporzionale con liste nazionali, soglie differenziate per partiti e coalizioni, e un quorum minimo del 33% degli elettori per la validità del voto. Ma ciò che rende queste elezioni straordinarie è il contesto. La diaspora moldava, stimata in oltre un milione di persone residenti soprattutto nell’Unione Europea (con una forte concentrazione in Italia), ha il potenziale di ribaltare i rapporti di forza. In passato, i cittadini all’estero hanno sostenuto massicciamente le forze filo-europee; se ciò accadesse di nuovo, l’impatto sarebbe decisivo.
Sul piano interno, la sfida principale oppone il Partito Azione e Solidarietà (PAS), forza di governo filo-europea, al blocco di socialisti e comunisti guidato dall’ex presidente Igor Dodon, tradizionale alleato di Mosca. Ma lo spettro di Ilan Șor, l’oligarca filo-russo latitante in Israele, continua a incombere: il suo partito è stato bandito nel 2023, eppure le inchieste dimostrano che egli finanzia ancora proteste e reti parallele per destabilizzare la capitale.
Le accuse rivolte al Cremlino delineano un quadro di interferenza sistematica. Secondo le autorità moldave e diverse inchieste internazionali, Mosca avrebbe stanziato centinaia di milioni di euro per condizionare il voto. I fondi transiterebbero attraverso criptovalute, per poi essere convertiti in contante e utilizzati nell’acquisto di voti, nel trasporto organizzato di elettori e nel sostegno occulto a partiti filo-russi. Parallelamente, il fronte informativo è in ebollizione: una recente inchiesta della BBC ha smascherato una rete che reclutava operatori su Telegram pagandoli per diffondere fake news e propaganda ostile al governo Sandu. Dai presunti scandali finanziari della presidente a notizie manipolate sulla rottura con i leader europei, l’obiettivo è uno solo: erodere la fiducia nelle istituzioni.
Le tensioni si spostano anche nelle strade. I servizi moldavi hanno denunciato la presenza di gruppi addestrati all’estero con il compito di provocare disordini post-elettorali. È uno scenario che richiama dinamiche già viste nello spazio post-sovietico: la creazione artificiale di proteste di massa per delegittimare i governi filo-occidentali. Dodon stesso non ha escluso la possibilità di mobilitazioni, alimentando i timori di una crisi politica. Intanto Mosca ha reagito duramente alla decisione di Chișinău di non accreditare osservatori russi, definendola una minaccia alla trasparenza elettorale: un passo interpretato come il tentativo di gettare ombre sulla legittimità del voto ancor prima che venga espresso.
Nemmeno l’energia è fuori dal gioco. La sospensione delle forniture di gas verso la Transnistria, con conseguenti blackout, è stata letta da molti analisti come un’ulteriore arma di pressione, volta a minare la fiducia della popolazione nella capacità del governo di garantire stabilità e servizi essenziali.
Di fronte a queste minacce, Maia Sandu ha scelto di rivolgersi direttamente ai cittadini. In un appello televisivo, ha chiesto loro di resistere alle intimidazioni e di difendere la sovranità con il voto: “Non si tratta solo di eleggere un Parlamento, ma di scegliere la nostra libertà, la nostra sicurezza e la nostra appartenenza alla famiglia europea”.
La partita che si gioca il 28 settembre, dunque, va ben oltre i confini moldavi. Per l’Unione Europea, la Moldavia rappresenta un banco di prova della capacità di integrare e stabilizzare il fianco orientale, a ridosso del conflitto ucraino. Per la Russia, è una linea rossa strategica: perdere la Moldavia significherebbe restringere ulteriormente la propria influenza nello spazio post-sovietico e indebolire la sua capacità di proiettare potere nella regione.
Il risultato di queste elezioni non determinerà soltanto chi governerà a Chișinău. Deciderà se la Moldavia potrà avanzare verso Bruxelles, rafforzando l’integrazione europea, o se sarà risucchiata indietro nell’orbita del Cremlino. È per questo che il voto di settembre non è un semplice appuntamento nazionale: è un referendum geopolitico sul futuro del Paese e, in parte, sul futuro dell’Europa stessa.
A cura di Gheorghina Mungiu